La sopravvivenza della carta stampata, non riconosciuto bene immateriale dell’umanità, sembra avere date più cogenti dello stesso cambiamento climatico. Ma non ci sarà G 7 o G 20 che se ne occuperà. Nel contesto italiano le più diffuse testate quotidiane vendono circa un quarto rispetto ai periodi d’oro e aggiustano i bilanci con inserti riciclati, gadget, racconti recuperati a scrittori scomparsi.

Così non si può pretendere che gli istituti di sostegno dei giornalisti godano di buona salute, anche considerando che alcuni tycoon del giornalismo dalle grandi cifre contrattuali (Vespa, Santoro a suo tempo) godono di contratti d’artista e sfuggono alle imposizioni fiscali proprie dell’INPGI (Istituto Nazionale Previdenza Giornalisti Italiani). Così non c’è da stupirsi se lo stesso, reso ancora più traballante dal carico degli stati di crisi, a volte artatamente documentati da molti editori (impuri non c’è che da dirlo) accusi un insostenibile deficit medio annuo di 200 milioni.

Il trend è quello ormai da molti anni e nonostante il parziale smantellamento del patrimonio immobiliare, il blocco delle pensioni (a prova costituzionale), i vari poco smaglianti affastellati contributi di solidarietà, inevitabile che si vada verso un punto zero molto alludente a una precisa data. Nel giugno del 2022 potrebbe non esserci più un bilancio di cassa sufficiente per pagare le pensioni.

Un recente provvedimento auto-punitivo consente ai responsabili di tanto sfacelo di rimanere in cattedra per un ulteriore semestre. L’ultima stretta è un palliativo che consente al malato incurabile qualche mese in più di vita. Non sarà certo un risparmio di cassa valutabile in 20 milioni annui a sanare un andamento irreversibile. Si levano alti lai nei confronti di Mattarella e Draghi. Ovvio che il giornalismo servile guardi ai potenti e alla prospettazione di un miracolo per un disastro facilmente analizzabile. Sono lontani gli anni d’oro del giornalismo d’inchiesta barricadero, delle grandi firme. Oggi i giornali si fanno in redazione, gli inviati si collocano davanti al televisore, raccogliendo notizie d’agenzia.

E la stessa Botteri per la Rai parla del Giappone in uno studio dalla Cina che non è propriamente lo stesso angolo del Sol Levante. L’INPGI si tufferà a babbo morto nell’INPS ma si anticipa che non sarà la stessa cosa e le stesse pensioni subiranno un severo salasso restituendo il benessere (peraltro pagato in termini di contributi) degli anni d’oro.

La soluzione ventilata, cioè quella di far entrare i comunicatori (uffici stampa e pubbliche relazioni) nel novero dei contribuenti INPGI non è mai diventata operativa perché vittima di lobby, clientele, interessi contrastanti.

Dunque il giornalismo è un Titanic destinato a sbattere contro uno scoglio. Va leggermente meglio alla Casagit ovvero l’istituto di assistenza sanitaria per i giornalisti che, pur diminuendo il pacchetto delle prestazioni, per il momento resiste ai marosi della crisi, aprendo il proprio ventaglio anche agli esterni, mostrandosi cioè come un competitivo asset nel mercato. Esattamente quello che non è riuscito all’INPGI. La perfetta metafora dell’attuale scacco è quella che si presenta al giornalista quando va a rinnovare il pagamento delle quote dell’Ordine dei giornalisti e della propria Associazione Regionale. Una volta aveva a disposizione tessere sconto per treni, aerei, autostrade, pacchetti convenzioni con negozi, oggi riceve un paio di smilze ricevute Buffetti attestanti cifre a due zeri.