Il 12 novembre è stata formalmente dichiarata l’ultima giornata della Conferenza sul Clima [COP 26] svoltasi a Glasgow, ma vi era stato un ennesimo rinvio per la stesura del documento conclusivo. Le aspettative erano focalizzate, per l’appunto, sul documento finale, che ancora tardava per le negoziazioni in corso, in tale documento si sarebbe dovuto mantenere il mondo al di sotto di un aumento globale di 1,5° C di riscaldamento rispetto ai valori preindustriali.

L’arcipelago Tyuleniy in Kazakhstan – Foto di USGS su Unsplash

Purtroppo fino al 14 novembre erano rimasti ancora tanti i nodi da sciogliere: il grande ostacolo sembra essere stato quello del finanziamento, poiché i Paesi più poveri avevano chiesto più soldi per gli interventi a favore dell’ambiente e per un tempo maggiore di quello, che i Paesi ricchi erano stati disposti a concedere.

La questione, in sostanza, è di notevole importanza perché da essa, di fatto, dipende l’andamento dello sviluppo economico ed il recupero del differenziale tra i Paesi in via di sviluppo e quelli maggiormente sviluppati; si è creata, effettivamente, una situazione per la quale si perpetua una continuità della diseguaglianza, in quanto coloro che attualmente sono svantaggiati non riescono a colmare il “gap” per effetto della mancanza di volontà da parte di chi, attualmente, è più favorito.

Ad esempio la de-carbonizzazione, da attuare per ridurre l’effetto serra, frenerebbe la maggiore crescita dei Paesi in via di sviluppo [ad esempio: Cina, India e Arabia Saudita] e le conseguenze consisterebbero nell’aggravamento delle condizioni economiche di coloro che sono i Paesi più svantaggiati, i maggiori costi dovrebbero essere a carico di coloro che hanno, attualmente, il controllo delle maggiori disponibilità di risorse e che non intendono rinunciare a tale vantaggio.

Un’ipotesi di bilanciamento o di riequilibrio avrebbe costi sociali ed economici e soprattutto politici molto onerosi, poiché ogni dichiarazione di intenti avrebbe dei risvolti concreti di non facile gestione.

Lo scenario mondiale, attualmente, si è modificato a causa della  Globalizzazione e per l’effetto indotto della Pandemia da Covid-19, la visione d’insieme del mondo in questi ultimi anni è profondamente cambiata: i rapporti di forza sono stati modificati, le guerre tra gli Stati, considerate come l’ultima ratio, non bastano neanche a risolvere le limitate questioni economiche e finanziarie, vi sono intrecci internazionali, interconnessioni di interessi e di reti talmente radicate rispetto al passato, tali da far fallire azioni di carattere unilaterale; occorre, al contrario, un sempre maggiore e continuo coinvolgimento da parte degli attori presenti nel complesso contesto internazionale.

Il fiume Mackenzie in Canada – Foto di USGS su Unsplash

Le vicende della COP26, ovvero la 26a Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, che si è svolta a Glasgow, ha avuto al centro il cambiamento climatico e a causa dei mutamenti geo-politici si è trasformato dall’essere una questione marginale ad una priorità globale: l’obiettivo era quello di raggiungere un accordo sulle modalità per affrontare i cambiamenti climatici, tali da consentire di limitare il riscaldamento globale al di sotto di un 1 grado e mezzo, questo era stato il traguardo degli accordi di Parigi nel 2015, che finora non è stato rispettato.

Oggi, in effetti, vi è una maggiore sensibilità per la lotta ai cambiamenti climatici rispetto a sei anni fa, dovuta anche agli effetti meteo catastrofici registrati ultimamente, vale a dire vi è una consapevolezza enorme rispetto al passato, ma tuttavia non è ancora sufficiente per attuare un consistente impatto sull’ambiente, occorre che venga riconosciuta ed affermata la relazione funzionale tra i cambiamenti climatici e gli opportuni investimenti.

Per Boris Johnson, premier dell’Inghilterra che è stata la sede della conferenza, la COP 26 è da considerarsi un tentativo “in extremis” per non far fallire il summit, che è da considerarsi come l’ultima possibilità dell’umanità di allontanare la minaccia di un devastante collasso climatico.

Si sono ottenuti alcuni risultati concreti, ma momentanei e parziali, quali quelli che cento Paesi hanno firmato un’intesa per interrompere la deforestazione entro il 2030: tra questi anche Canada, Brasile, Indonesia, Congo e Russia che possiedono circa l’85% delle foreste mondiali.

Vi è stata anche la dichiarata volontà di Cina e USA, che nonostante fossero divise su tutto, abbiano affermato di «lavorare insieme e con gli altri Paesi per combattere la crisi climatica». Le due potenze, infatti, sulla lotta al cambiamento climatico «non hanno scelta» se non quella di collaborare tra loro, la bozza di accordo concordata sollecita gli Stati ad accelerare «l’addio al carbone e ai sussidi ai combustibili fossili».

Ma alle intenzioni è seguita una realtà poco piacevole, le discussioni su finanza e mercato dei crediti di carbonio ha prodotto un allungamento dei tempi di approvazione del documento comune e conclusivo del summit, tanto che il Segretario generale dell’Onu, irritato, è andato via mentre le delegazioni erano impegnate nei tempi supplementari per trovare un accordo.

La penisola della Kamchatka in Russia – Foto di USGS su Unsplash

Vi è stata un’ulteriore formulazione per la quale si è sottolineata l’importanza di rispondere alla scienza ed è stato citato l’obiettivo del Net Zero (l’economia ad emissioni zero) entro il 2050, target che era da tempo inseguito da Stati Uniti ed Unione Europea, inoltre si chiedeva di aumentare urgentemente i flussi finanziari per i livelli necessari a sostenere i paesi in via di sviluppo e si esprimeva una profonda preoccupazione che l’obiettivo del fondo per il clima da 100 miliardi di dollari annui non fosse stato ancora raggiunto.

Manca, ancora, una volontà di “eliminare” le emissioni di CO2, ma vi è solo una sostituzione con il termine di una generica “riduzione”.

L’opposizione dell’India ha prodotto un compromesso al ribasso perché si sostiene che i Paesi in via di sviluppo vogliono che sia garantita la loro equa quota di “carbon budget”, e vogliono continuare il loro uso “responsabile” dei combustibili fossili.

La COP 26 [14 novembre] si chiude con un “accordo” che rende molti presenti insoddisfatti, ma che alla fine è stato votato da quasi 200 Paesi.

Alle aspettative rosee, ha corrisposto una “grigia” realtà di compromesso, ma vi sono stati comunque dei risultati positivi:

  1. d’ora in poi il clima sarà presente in ogni “agenda” di governo dei Paesi, poiché c’è il pericolo di un collasso planetario;
  2. per l’era del carbone, quale combustibile fossile, è cominciato il suono delle campane a morto;
  3. l’obiettivo di mantenere 1,5° C diviene un orientamento comune;
  4. il multilateralismo, d’ora in poi, rappresenta una prassi comune;
  5. il ridimensionamento delle oligarchie, che vogliono governare il mondo, non è più una utopia.

Risultato: per il Clima a livello globale si è modificata la “Narrazione” degli eventi.