L’Occidente sembra essere ricascato nel vizietto di nascondere le proprie responsabilità (quantomeno di scarsa preveggenza) dietro il volto impresentabile del nemico.
La vicenda è arcinota.
Al momento della fine dell’Urss, Vladimir Putin era un oscuro travet del KGB di stanza a Berlino. Oscuro e piuttosto disperato, dato che la dissoluzione di un impero poliziesco è uno di quegli accidenti capaci di lasciare a piedi gli spioni quale era lui. Tanto che, una volta tornato in patria, pare che la sua prima idea fosse di mettersi a fare il tassista. La storia è piena di conturbanti sliding doors. Si è da più parti ipotizzato che se Hitler avesse superato l’esame alla scuola delle belle arti, probabilmente avremmo avuto un mediocre insegnante di disegno in più e la carneficina della Seconda Guerra Mondiale in meno. Per quanto riguarda Putin, la porta girevole del destino gli ha riservato qualcosa di meglio della conduzione di un’auto con clienti a bordo: addirittura il comando assoluto su 150 milioni di abitanti.
Una volta al potere, non c’è da meravigliarsi che si sia comportato come si comportano in simili frangenti i tipi come lui. Forte del fatto che gli scrupoli neanche sa dove stiano di casa, in combutta con una risma di ribaldi suoi pari si è dato innanzitutto al saccheggio della cosa pubblica, accumulando giganteschi tesori. Poi, messa da parte la moglie che gli aveva tenuto compagnia quando c’era da dividere la zuppa di cavoli a cena, si è accoppiato con una star nazionale della ginnastica più giovane di lui di 30 anni, che gli ha dato due figli.
Virilmente appagato, straordinariamente ricco, signore riconosciuto di un immenso paese, Putin avrebbe potuto ritenersi a giusta ragione più che soddisfatto. Sennonché il potere è una brutta bestia, che ha la maligna capacità di deformare le immagini di chi lo detiene peggio degli specchi di un luna park. È dunque probabile che molto presto Vladimir Vladimirovic, incrociando una qualche meravigliosa specchiera lungo i saloni del Cremlino, non ci abbia più visto ciò che c’era riflesso, cioè un insignificante omino che avrebbe dovuto andare in ginocchio a qualche santuario per la grazia ricevuta, bensì un nipote di Stalin e un discendente di Pietro il Grande. Insomma, in tutto e per tutto un figlio prediletto della Grande Madre Russia.
E qui sarà il caso di aprire un ampio inciso. Quando ci fu il crollo dell’Unione Sovietica nel mondo occidentale si assistette a un generale rilassamento. Uscì fuori persino uno stravagante docente universitario americano il quale fece un sacco di soldi con un libro in cui confuse il the end di una storia, quella iniziata in Russia nel ‘17, nientemeno che con la fine della Storia tout court. Ovviamente, le cose non stavano così: era semplicemente che Fukuyama, così si chiamava il signore in questione, aveva preso un clamoroso abbaglio.
A tale proposito, è cosa risaputa che le cancellerie e i sistemi di sicurezza occidentali annoverino tra le proprie fila prestigiosi studiosi di cose russe. Beh, sembra incredibile che nessuno di questi professoroni, per dirla con il giulivo Salvini, abbia messo a fuoco ciò che uno studente universitario è in grado di capire anche sostenendo un solo esame di Storia dell’Europa Orientale. E cioè che esiste e resiste da secoli un’anima russa che, quando si entra nell’ambito delle relazioni internazionali, bisognerebbe aver presente se non si vogliono combinar guai. Ma si tratta di questioni che hanno a che fare più con la psicologia che con la politica: e allora? Non a caso, è dei grandi uomini la capacità di capire cosa passi per la testa e per il cuore dei loro avversari e comportarsi di conseguenza. Basti pensare alla preveggenza di Churchill, unico tra gli uomini di stato del suo tempo a comprendere cosa avesse davvero in mente Hitler. Un anno fa, nel salutare e ringraziare la Merkel per il suo addio, dicevamo che l’avremmo rimpianta. Si era facili profeti: ci fosse stata ancora “Mutter Angela” a guidare l’Europa, si può star certi che non ci troveremmo oggi con una guerra che ci fa stare tutti con il fiato sospeso.
Un conflitto ci fa rivivere dejavu. L’Occidente infatti sembra essere ricascato nel vizietto di nascondere le proprie responsabilità (quantomeno di scarsa preveggenza) dietro il volto impresentabile della parte avversa. Dopo i talebani afgani e Saddam Hussein, ora è la volta di Putin di fare la figura del baubau. Un giochino facile facile, visto che è una parte che lui, per ferocia e brutalità, può impersonare alla perfezione. Un tipo inaffidabile e sanguinario, viene in queste ore descritto, uno che ha ammazzato dissidenti in giro per l’Europa, che ha annesso con la forza la Crimea (la quale per altro gli ha entusiasticamente aperto le braccia) e si è macchiato di violenze inaudite durante il conflitto ceceno. Tutto vero. Ma come mai tutte queste cose non ci facevano inorridire anche prima, quando l’Italia ci si legava mani e piedi per le forniture energetiche e la Germania ci costruiva insieme un gasdotto?
Putin = Hitler, sta scritto su molti cartelli innalzati nei cortei di protesta. Niente è più fuorviante, per comprendere la realtà, della facile analogia. Hitler era un gangster, ma soprattutto un fanatico. Se pure fosse giusto vedere in Putin un bandito, di certo è tutt’altro che un pazzo esaltato. Stiamo invece parlando del capo molto amato (eh sì, tutti i gusti sono gusti) di un paese, sarà il caso di ricordarlo ancora una volta, che fino a ieri era uno dei due padroni del mondo. E per questo pretende ancora la considerazione dovuta a una grande potenza. Che in un aspetto, quello militare, che conta eccome quando c’è da fare la faccia feroce, in effetti ancora è.
È stata una buona idea provare a isolare e a mettere in un angolo un uomo così e uno stato con quelle frustrazioni e quella forza militare? Gli americani avevano fatto tesoro degli errori commessi dopo il primo conflitto mondiale, quando con la pace di Versailles si era voluto umiliare la Germania sconfitta, fornendo in questo modo carburante per l’ascesa al potere del nazismo. Così, nel secondo dopoguerra utilizzarono il Piano Marshall per trasformare i nemici appena sconfitti nei più fedeli tra gli alleati. Cosa è successo stavolta? Pare che nessuno si sia posto il problema adottare una specifica strategia con il nuovo stato sorto dalle ceneri del mastodonte russo. Con scellerata superficialità si è sottovalutata la paranoia che affligge Putin e il paese su cui comanda. Una paranoia che poi tanto tale non dev’essere, se si è di fatto accerchiata una Russia ritenuta ormai un’ex superpotenza. Dimenticando che non puoi essere tu a declassare al livello di uno staterello qualsiasi un paese così grande, orgoglioso e soprattutto provvisto dell’arsenale nucleare più grande del mondo.
Certo, al punto in cui siamo non c’è molto da fare se non alzare la voce a nostra volta per far intendere che l’Ucraina deve essere lasciata in pace. Ma a proposito di pace, se vogliamo metterci davvero al tavolino con quell’uomo (ok, ok: volgare e prepotente) per trovare un accordo, bisognerà pure ascoltare le sue ragioni. Anche se si tratta di ragioni che fanno inorridire la nostra anima liberale e democratica.