Rosanna entra in scena tutta vestita di nero e con pesanti occhiali scuri e un bastone nella mano. Lei interpreta Tiresia in Antigone, la grandissima tragedia di Sofocle.

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Chiara mi ha invitato a questa rivisitazione dell’immortale tragedia di Antigone, soltanto una ragazza che oppone i valori dell’uomo e della vita all’arroganza del potere. La conclusione è ovviamente una tragedia e la morte colpisce tutti, la giovane ribelle, la sua famiglia e alla fine anche il tiranno e cioè il potere.

Un minuscolo teatro al Testaccio, una stanza rotonda dove gli attori sono al centro e gli spettatori tutti intorno. Un gruppo di uomini e donne hanno deciso di dedicare il loro tempo libero ad imparare il teatro. Il teatro, una delle espressioni più antiche dell’arte umana, perché gli uomini hanno sempre pensato di rappresentare la loro vita mettendo in scena storie che dovrebbero insegnarci qualcosa.

Hanno scelto Antigone, e il regista l’ha interpretata con molte contaminazioni che trascinano questo antico racconto nel mondo di oggi.

Perché Rosanna e gli altri l’hanno interpretata così bene, anche se non sono attori professionisti?

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Perché Rosanna ha fatto rivivere così bene Tiresia? Perché i grandi tragici greci affidavano sempre a un veggente, a un saggio, il compito di mettere in guardia gli esseri umani dai loro errori, dalle loro passioni, dalla loro ricerca del potere che conducono all’oppressione, alla violenza e alla fine alla tragedia.

Rosanna si è accorta di vivere un mondo senza Tiresia. Solo in pochissimi popoli ci si può difendere dal potere con la parola e con la legge. Non solo in Russia e in Cina, ma in moltissimi altri mondi, il potere assomiglia a Creonte, il tiranno della tragedia, e dopo più di duemila anni andiamo incontro al baratro.

Tiresia è morto e noi non abbiamo più nessun Tiresia neppure per metterci in guardia.

 

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