Giorgia Meloni “secchiona”. Attenzione: il termine “secchiona” non è un’offesa lanciata dalle opposizioni contro la presidente del Consiglio di destra. Al contrario: è una parola usata dalla stessa Meloni per indicare le grandi difficoltà con le quali fa e ha dovuto fare i conti.
Al Festival dell’Economia di Trento ha confessato: «Io sono diventata secchiona perché ero una persona insicura». Ha spiegato: «Alla fine io sono sempre stata sottovalutata nella vita, ma può essere un vantaggio, perché quando tutti ti sottovalutano, beh, forse puoi anche stupire». L’hanno sottovalutata a sinistra e ha stupito. Ha compiuto il miracolo di trasformare Fratelli d’Italia, una forza minoritaria di destra, nel primo partito italiano: ha ottenuto il 26% dei voti nelle elezioni politiche del 2022 mentre sfiorava appena il 2% nelle consultazioni del 2013. Adesso Fratelli d’Italia, il suo partito post fascista, viaggia attorno al 30% nei sondaggi elettorali: è l’asse centrale dell’alleanza di governo con la Lega di Salvini e Forza Italia di Berlusconi, posti in una posizione di sudditanza.
Da “secchiona” ha stupito i suoi colleghi uomini di Fratelli d’Italia, un partito dai forti tratti machisti come del resto era il Msi, la forza nata dalle ceneri del fascismo dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Lei, una donna con il vanto di essere mamma, già militante del Msi, prima ha conquistato la presidenza di Fratelli d’Italia e poi la presidenza del Consiglio portando per la prima volta una esponente del gentil sesso a Palazzo Chigi.
I grandi successi, però, nascondono anche grandi insidie sia all’interno di Fratelli d’Italia e sia nel governo di destra-centro da lei guidato. La conversione a un deciso atlantismo, il suo affiancamento a Joe Biden nel forte sostegno all’Ucraina aggredita dalla Russia, ha causato un certo scontento. Contraccolpi sono anche arrivati dalla scelta europeista, annacquando il precedente sovranismo. Non a caso, molte volte, le mancano in Parlamento dei voti della Lega e di Forza Italia. Non solo. La svolta di destra democratica, recidendo ogni nostalgia per la dittatura di Benito Mussolini, ogni tanto genera delle reazioni negative da lei immediatamente sanzionate.
Meloni “secchiona” è dialogante, cerca l’unità, finora alla fine l’ha sempre spuntata. Ma alcune volte deve fare i conti con i duri di destra. Deve fare i conti con le resistenze alla svolta di destra democratica emerse dentro Fratelli d’Italia. Ha sanzionato, ad esempio, il revisionismo di Ignazio La Russa sulla strage nazista delle Fosse Ardeatine a Roma ma ha lasciato cadere nel vuoto l’appello di Gianfranco Fini ad assumere i valori dell’antifascismo. Ha assecondato una politica muscolare sulla sicurezza, tema classico della destra, introducendo il reato per i Rave Party e operando un ulteriore giro di vite sui migranti.
Però Meloni “secchiona” di tanto in tanto ha concesso e concede molto all’ala più dura di Fratelli d’Italia e della maggioranza di destra-centro sulla quale si regge il suo esecutivo. Due esempi. Il primo: ha sostenuto l’elezione a presidente della commissione parlamentare Antimafia di Chiara Colosimo, attaccata dalle opposizioni perché vicina all’ex terrorista Luigi Ciavardini, aderente ai Nar, organizzazione di matrice neofascista. Così Chiara Colosimo è stata eletta presidente dell’Antimafia solo con i voti della maggioranza mentre le opposizioni hanno disertato la votazione per protesta chiedendo “un presidente di garanzia”. Colosimo ha smentito di aver avuto un rapporto di amicizia o politico con Ciavardini, tuttavia lo conosceva «perché lui è in una associazione che si occupa di reinserimento di detenuti», quindi per opportunità sarebbe stato meglio rinunciare al delicato incarico.
Il secondo esempio: Giorgia Meloni era pronta a discutere la nomina di Stefano Bonaccini, Pd, all’incarico di commissario straordinario per la ricostruzione delle zone alluvionate. Ma subito è partito il veto di Matteo Salvini, segretario della Lega, vice presidente del Consiglio e ministro delle Infrastrutture. Ma anche diversi esponenti di Fratelli d’Italia si sarebbero mossi per stoppare la nomina del presidente della regione Emilia Romagna.
Giorgia Meloni è costretta a muoversi su un sentiero stretto: deve fare i conti con la forte identità di destra, alle volte anche estrema, del suo partito e della sua maggioranza. In molti casi è prigioniera dell’ala dura della destra, in altri riesce ad andare avanti abbastanza speditamente come nell’attenta tenuta dei conti economici, nel nuovo europeismo e nel nuovo atlantismo. Non è facile. Ancora l’anno scorso, quando era all’opposizione del governo Draghi, le sfuriate populiste e sovraniste erano continue. Basta ricordare gli attacchi veementi al green pass per il Covid e per gli interessi nazionali dell’Italia colpiti dall’Unione Europea.
Anche su queste battaglie ha vinto le elezioni legislative con un successo clamoroso personale e politico. Però ora è al governo e gli italiani le chiedono di risolvere e non di agitare i problemi. In Fratelli d’Italia ci può essere chi ha nostalgie per il fascismo ma la stragrande parte dei suoi elettori no.