Appena tre mesi di tempo per salvare l’euro e la Ue. Le regole del Patto di stabilità per l’euro, sospese per l’emergenza Covid, torneranno in vigore dal primo gennaio 2024 se non ci sarà un accordo per cambiarle. Mario Draghi non usa perifrasi: il ritorno ai parametri di tre anni fa «sarebbe il peggior risultato possibile». Non può esistere una unione monetaria senza quella fiscale.

Patto di stabilità per l’euro, La sede del Consiglio europeo

La sede del Consiglio europeo

Draghi lascia i panni del pensionato e torna in campo. Immagina e propone «nuove regole e più sovranità condivisa» per salvare l’Europa. Scrive ai primi di settembre sull’Economist, propone un nuovo progetto di sviluppo per la Ue. Vuole cancellare le vecchie regole del Patto di stabilità per l’euro.

L’uscita dell’ex presidente del Consiglio, già presidente della Bce (Banca centrale europea), non è stata presa bene dalla Germania e dalle altre nazioni rigoriste del nord Europa tradizionali alleate di Berlino. «Più sovranità condivisa» significa attivare risorse comuni europee per «ingenti investimenti in tempi brevi» in settori strategici come la difesa, la transizione verde e la digitalizzazione. Italia, Francia, Spagna e gli altri paesi europei con un alto debito pubblico e con pochi fondi a disposizione fanno il tifo per Draghi.

La partita ora si sposta a Bruxelles, sui tavoli della Commissione europea e del Consiglio europeo. Draghi considera finita la vecchia architettura Ue che poggiava su tre pilastri: l’energia a basso costo fornita dalla Russia, la sicurezza garantita dagli Stati Uniti, le esportazioni industriali di qualità assorbite dalla Cina. Prima il Covid e poi l’aggressione di Putin all’Ucraina hanno fatto saltare i vecchi meccanismi. Ne ha sofferto tutta l’Unione europea ma soprattutto la Repubblica federale tedesca, grande acquirente del gas e del petrolio russi e forte esportatrice in Cina.

Patto di stabilità per l’euro, Mario Draghi

Mario Draghi

Draghi, il tecnico con una visione politica, indica ancora una volta nuove strade: propone fondi comuni europei per rispondere alle nuove sfide globali. Non è una impresa facile ma ha già vinto scommesse che sembravano impossibili. Nel marzo del 2020, in un articolo sul Financial Times, propose di ricorrere a una valanga di “debito buono” finanziato con risorse comuni europee per combattere il Covid, per impedire il crollo dell’occupazione e la chiusura delle aziende del vecchio continente sotto scacco per il Coronavirus.

All’inizio l’idea fu seccamente bocciata dalla Germania e dai suoi alleati virtuosi per non fare regali ai paesi “cicale” come l’Italia. Ma poi le proposte di debito collettivo, anche se faticosamente, passarono. Angela Merkel riuscì a convincere i suoi connazionali della bontà delle proposte di Draghi. La ex cancelliera tedesca argomentò: è nell’interesse della Germania avere una posizione solidale e pagare un piccolo prezzo perché se fallisse l’euro il costo per Berlino sarebbe molto più alto. Così la Bce comprò una enorme quantità di titoli del debito pubblico (in particolare dei paesi più indebitati come l’Italia) e la Ue varò dei piani di ricostruzione post pandemia (al nostro paese furono assegnati circa 200 miliardi di euro tra prestiti a basso costo e finanziamenti a fondo perduto).

Mario Draghi, Emmanuel Macron e Olaf Scholz

Non solo. L’anno scorso, da presidente del Consiglio, propose un tetto al prezzo del gas divenuto esorbitante per il taglio delle forniture russe. Dopo duri contrasti la Ue decise il tetto e il prezzo del metano calò rapidamente grazie anche alla diversificazione degli approvvigionamenti.

Anche oggi, come in passato, i no secchi e quelli sommersi alla proposta Draghi sono tanti. Non c’è più Angela Merkel con la sua grande visione europeista. Ma la Germania, al contrario della primavera del 2020, non è più la prima della classe: la sua economia è in affanno e Olaf Scholz se la passa piuttosto male. La Corte dei conti tedesca ha strigliato il cancelliere socialdemocratico: ci sarebbe un debito pubblico nascosto e il deficit sarebbe il doppio.

Ursula von der Leyen da mesi lavora a un compromesso per rivedere il Patto di stabilità per l’euro. La mediazione della presidente della Commissione europea per ora non decolla. Anzi, aumenta la conflittualità. Salgono i contrasti con i governi nazionali (in testa con l’esecutivo Meloni) innescando pericolose derive euroscettiche e sovraniste, un tempo definite nazionaliste.