Da almeno quarant’anni, ogni qual volta si presenti occasione di parlare di sviluppo della città di Messina e del suo territorio, il dibattito viene monopolizzato (e inaridito) dalla ‘guerra’ Ponte si – Ponte no. Da una parte i pro-ponte, spesso sparando numeri a casaccio, sostengono il valore taumaturgico dell’Opera; dall’altra, i no-ponte prefigurano disastri ambientali e sociali.

A mio avviso, questa è una guerra inutile e logora che, in nessun caso, produce un’idea di sviluppo credibile. Credo, invece, che sia necessario e urgente costruire una “strategia” a cominciare dalla comprensione dello stato attuale della città e del suo territorio.

Da un centinaio di anni a questa parte, Messina è andata via via perdendo la percezione di se stessa come città e come comunità.

Non è questo il luogo per definire le ragioni storiche e sociali di questa crisi profonda, anche se ritengo che sia urgente farlo, in altre sedi e in modo approfondito, considerando, per esempio, il disastroso terremoto del 1908 come una delle cause ma non certo l’unica né la sola decisiva della involuzione della città.

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Iniziamo la riflessione, quindi, col chiederci come “vedono” Messina i messinesi e, di conseguenza, come la vedono gli altri.

Tralasciando, per carità di patria, le definizioni ‘da bar’ autodenigratorie e vittimistiche (dunque autoassolutorie), la definizione in cui più facilmente ci riconosciamo è città di passaggio, luogo, cioè, da cui si transita senza ragione di fermarsi o di viverci. Per inciso, la realizzazione del Ponte, e già prima, quella del nuovo porto a Tremestieri non faranno che accentuare questa autorappresentazione. È come se, nella grande rete che avvolge il mondo, Messina da nodo, fosse scivolata lungo il filo e non riesce più a “intrecciarsi” con il mondo.

Una visione strategica deve ricercare idee e pensare progetti che consentano di riconfigurare il nodo a partire dai punti forti, dai talenti e le vocazioni di Messina. Il Porto, prima di tutto, vero centro della città; la storia millenaria di Messina e di quel luogo unico e straordinario che è lo Stretto; il territorio provinciale, ricco e storicamente legato alla città sin dal tempo dell’Impero Romano (il Val Demone); il rapporto con il “continente” a partire dalla dirimpettaia Reggio Calabria; la vocazione di Città aperta al mondo.

A tutto questo aggiungo la vocazione imprenditoriale, che ha caratterizzato Messina sin dal Rinascimento e che contrariamente alla vulgata corrente, esiste anche oggi. Non credo che sia pensabile recuperare, oggi, la vocazione mercantile legata al porto se non in piccola parte.

Sono tanti e diversi, però, i modi in cui una città può essere attraente e attrattiva. È opinione condivisa che bisogna puntare sul turismo, cosa su cui concordo a condizione che non sia considerato l’unico motore di sviluppo. Per come si va prefigurando il mondo di domani, agroalimentare sostenibile, informatica, nuova organizzazione del lavoro smart, cultura, sono i settori su cui occorrerà concentrare l’attenzione.

La cosa curiosa è che questo sta già avvenendo senza che ce ne accorgiamo, ma anche senza programmazione né stimoli pubblici, quindi, in modo embrionale e insufficiente.

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Nel concreto, una visione strategica dovrebbe prevedere strutture, materiali e immateriali, per collegare e rendere sinergiche le aree territoriali (città, ionica, tirrenica, Nebrodi) e il territorio dello Stretto (area integrata).

Ci sono aree urbane di grandissima potenzialità da ripensare, come la Fiera, la Falce, a breve, la Rada San Francesco (è avvilente come a quest’ultima, che sarà presto disponibile, nessuno pensi per tempo, prima che vada incontro al consueto degrado).

Perché la riqualificazione corrisponda a una visione strategica, la progettazione deve essere pubblica e affidata a un ente pubblico che metta insieme le amministrazioni coinvolte e che, in seguito, dovrà gestire le aree riqualificate. Una delega a privati, spesso ipotizzata denunciando mancanza di coraggio e senso di responsabilità, creerebbe certamente infinite polemiche e probabilmente disastri. I privati, invece, devono essere coinvolti nella realizzazione dei progetti destinati, in un Piano generale, per attività remunerative.

Le opere dovranno essere progettate e appaltate con finalità definite, in modo da essere immediatamente fruibili non appena realizzate. Abbiamo visto troppe volte appalti di scatoloni rimasti vuoti a tempo indeterminato (qualcuno è “meritoriamente” in corso).

Nel breve periodo, inoltre, si possono già progettare e realizzare attività ‘attrattive’ di qualità, non meramente ‘decorative’; di interesse sociale e culturale (festival, mostre, etc.); nel campo dell’educazione e della formazione, e anche di tipo più turistico (congressuali, gastronomiche, etc.).

Deve essere chiaro, però, che queste esprimono solo una minima parte delle loro potenzialità se non assumono carattere di stabilità, di continuità e se non sono messe a sistema.

A questo punto, la domanda che spesso mi sento fare è: «sì, giusto, ma tutto questo, chi dovrebbe farlo?». Senza dubbio è compito della Politica (maiuscolo!), però oggi la politica (minuscolo!) è frammentata e incapace di visione di medio/lungo periodo. È sotto gli occhi di tutti come da lungo tempo la città sia gestita da amministratori più interessati alla propria immagine e alla prossima tornata elettorale che non a costruire il futuro. È solo responsabilità di noi cittadini, però, l’aver scelto improbabili uomini della Provvidenza anziché persone capaci di visione, competenti e in grado di esprimere un’idea di città.

Anche le organizzazioni di rappresentanza, i cosiddetti corpi intermedi, sono in crisi, non solo a Messina, qui, però, la crisi è particolarmente profonda e, in alcuni casi, con modalità veramente penose.

E allora? Allora si può comunque agire puntando a quella coesione sociale che Messina ha avuto storicamente, quando, ben più di altre città, si è ribellata a ingiustizie e soprusi.

Se cittadini con passione e idee sapranno associarsi e interagire, e se saranno sostenuti da imprese responsabili che ne condividono gli obbiettivi, è possibile elaborare idee e progetti da offrire alla politica che, così priva di idee com’è, dovrebbe accoglierli senza temere per questo di ledere il suo … “primato”.

Sono ben consapevole che l’elaborazione di una visione strategica richiede tempi poco compatibili con quelli richiesti per il Recovery Plan, con l’ottimismo della volontà, però, si può fare.

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