Conversazione con Enrico Giovannini, Ministro delle infrastrutture e della mobilità sostenibili del governo Draghi

Enrico Giovannini – Foto da wikipedia.org-CC BY 3.0 it

Accademico, di formazione economista e statistico, dal febbraio dello scorso anno Enrico Giovannini è diventato un ministro ‘tecnico’ di punta del governo Draghi con l’incarico delle infrastrutture e della mobilità, che tiene a sottolineare devono essere sostenibili, al plurale, così come aveva già ampiamente preconizzato nel suo libro “L’utopia sostenibile” pubblicato nel 2018 da Laterza.

“Di mobilità sostenibile un anno e mezzo fa parlavano solo gli specialisti – spiega Giovannini – e quando cambiai il nome del ministero da ‘infrastrutture e trasporti’ a ‘infrastrutture e mobilità sostenibili’, alcuni commentatori pensarono che fosse un vezzo legato al mio interesse per il tema. Oggi invece si è capito che le infrastrutture sostenibili non sono un ossimoro”. Sono diversi gli esempi di progetti che terranno conto di elementi di sostenibilità che il Ministro cita per spiegare questo cambiamento “pensi ai tanti lavori nei porti, finalizzati a potenziare il sistema della portualità in Italia, che riuseranno i materiali frutto dei dragaggi, ora depositati nelle casse di colmata, oppure il cold ironing, cioè l’elettrificazione delle banchine in modo che le navi possano spegnere i motori all’attracco e non inquinare”.

“Ma ci sono anche i grandi investimenti che abbiamo finanziato per le ferrovie, per esempio per l’interconnessione tra porti, aeroporti e centri intermodali, per collegarli con le ferrovie, oppure al phasing out e la sostituzione degli autobus diesel euro 1,2 e 3”.

“Insomma, in questo anno e mezzo – prosegue il Ministro – il concetto di sostenibilità è diventato centrale anche per le associazioni di categoria, dagli armatori agli autotrasportatori agli investitori privati, e questo non solo per merito del ministero, ma perché nel frattempo tutta l’Europa, e non solo, sta andando in questa direzione e sarebbe folle invertire la rotta in nome delle pur evidenti difficoltà nell’approvvigionamento di gas”.

Certo esistono i rischi di tornare indietro, spiega Giovannini, e non solo in Italia. “Me ne sono reso conto, per esempio, nel settore dell’automobile, dove ho registrato delle divisioni tra le imprese che hanno già deciso da tempo di puntare sull’elettrico e quelle invece che sperano solo di poter rinviare la data entro la quale non sarà più possibile acquistare auto nuove con motore endotermico. In un momento in cui l’Europa sta spingendo sulla transizione ecologica c’è ancora una parte dell’economia, della cultura e della politica che, siccome stiamo sperimentando shock come la pandemia o la guerra, invece di guardare al futuro pensa sia meglio tornare indietro, a un passato in cui “si stava meglio”. Ma pensando in questo modo, l’Italia perde le opportunità, anche occupazionali, derivanti dalla transizione”.

Questi rischi esistono naturalmente anche per l’esecuzione del Piano nazionale di ripresa e resilienza, il PNRR, che ha molto riguardato il ministero guidato dallo stesso Giovannini e che è anche uno dei temi che investono questa campagna elettorale. Chiediamo quindi al ministro in cosa consistano questi rischi.

“Entro il 2023 bisognerà assumere tutte le obbligazioni giuridicamente vincolanti – spiega Giovannini – che vuol dire di fatto firmare tutti i contratti per tutti i progetti in poco più di un anno. Per questo, i prossimi mesi saranno cruciali perché partiranno moltissime gare, come per esempio la circonvallazione ferroviaria di Trento per il Brennero, i lotti di alta velocità ferroviaria Salerno-Reggio Calabria, l’acquisto di nuovi autobus ecologici, la diga foranea di Genova. Pensare di rivedere questi obiettivi vuol dire rifare i progetti e questo richiede tempo ed è di fatto incompatibile con i tempi delle obbligazioni giuridicamente vincolanti – prosegue il ministro –. Certo uno potrebbe provare a negoziare una linea ferroviaria di meno con più autobus ecologici, visto anche che ordinare gli autobus è obiettivamente più facile che realizzare un tratto ferroviario, ma in questo caso si tratterebbe di un aggiustamento e non di uno stravolgimento del PNRR”.

E non bisogna dimenticare, sottolinea Giovannini, che ogni cambiamento deve essere comunque approvato dagli altri ventisei governi degli Stati membri dell’UE.

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In ogni caso, prosegue, anche se il PNRR non venisse modificato “i prossimi due anni saranno cruciali per decidere cosa fare degli 80 miliardi di fondi europei ordinari, dei 50 miliardi del fondo sviluppo e coesione, sempre seguendo le regole europee. Se, per esempio, uno pensasse di usare i fondi europei per fare delle autostrade, non previste dal PNRR perché non rispettose del principio di non danneggiare significativamente l’ambiente (do not significant harm – DNSH) forse dovrebbe leggere meglio le regole europee, perché anche la destinazione dei fondi strutturali europei 2021-27 dovrà rispettare il principio DNSH.  (Il principio prevede che gli interventi previsti dai PNRR nazionali non arrechino nessun danno significativo all’ambiente: questo principio è fondamentale per accedere ai finanziamenti. Inoltre, i piani devono includere interventi che concorrono per il 37% delle risorse alla transizione ecologica n.d.r)

Insomma, i fondi europei consentiranno di fare molte cose, ma bisognerebbe sapere se le forze politiche sceglieranno progetti in coerenza o in opposizione con il PNRR, rischiando – nel secondo caso – di smontare con una mano quello che si è fatto con l’altra.

“Per questo lo sforzo di programmazione a cui è chiamata l’Italia nei prossimi due anni non si esaurisce con il PNRR – spiega Giovannini secondo cui questo è un elemento ancora più importante dell’utilizzo del PNRR stesso, non solo perché si tratta di un sacco di risorse “ma anche perché, se si accetta che le priorità dell’Italia sono la transizione ecologica, digitale ecc., allora si possono usare questi fondi per rafforzare, producendo un ‘effetto volano’, quello che si è già fatto, il che consentirebbe di arrivare alla fine del 2030 con un insieme di interventi trasformativi. Se invece si perdesse questa coerenza, si rischierebbe di sprecare quei fondi, come in parte è stato fatto nei cicli di programmazione europea precedenti”.

Inoltre, spiega il ministro, lo sforzo delle amministrazioni centrali e regionali negli ultimi due anni per definire e realizzare il PNRR “ci pone finalmente nella condizione di non perdere il treno della programmazione europea ordinaria”.

La destinazione di questi fondi va infatti definita in gran parte dalle regioni, che hanno orientamenti politici e colori diversi “ma nell’ultimo anno, grazie al PNRR, siamo riusciti a pianificare circa 30 miliardi di risorse trovando con le amministrazioni locali di qualunque colore accordi molto rapidi, proprio perché avevamo condiviso un quadro di trasformazione”.

“Per questo – conclude Giovannini – sarebbe veramente un peccato che questa comunanza di obiettivi venisse abbandonata e andasse dispersa”.

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Ma oltre al PNRR Giovannini tiene a ricordare un altro aspetto, più istituzionale, realizzato in questo anno e mezzo, ma che traduce le stesse proposte contenute nei suoi studi e nei suoi scritti sulla sostenibilità, quello di introdurre nella Costituzione il concetto di sviluppo sostenibile e di giustizia tra le generazioni “questo è un passo storico, in quanto per la prima volta dalla sua promulgazione sono stati toccati i principi costituzionali”. “Con lo stesso spirito, come proposto nel libro di quattro anni fa, il Presidente del Consiglio ha emanato una direttiva secondo cui i nuovi investimenti infrastrutturali devono seguire i criteri di sostenibilità indicati nell’Agenda 2030 dell’ONU”. Per renderla operativa – spiega Giovannini – verrà tra breve adottata dal Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica e lo Sviluppo Sostenibile (CIPESS) una delibera che definisce i criteri per valutare gli investimenti secondo i criteri della sostenibilità.

“Come Ministero abbiamo già definito le regole in base alle quali le grandi stazioni appaltanti, per esempio ANAS o RFI, devono presentare i progetti stradali o ferroviari, mentre tutte le opere del PNRR devono già essere accompagnate da una relazione di sostenibilità. Infine, stiamo definendo un sistema di punteggio dei vari progetti proprio in base alla sostenibilità e alla contribuzione agli obiettivi del green deal, così da scegliere i progetti migliori”.

“In questa direzione andrà anche il nuovo Codice dei contratti – aggiunge Giovannini – il che vuol dire che i principi di sostenibilità innerveranno tutti i futuri contratti pubblici, come indicato dalla legge delega approvata a giugno. Si tratta di un cambiamento che spero irreversibile, anche se i decreti delegati verranno preparati dal nuovo governo. Il nuovo Codice, infatti, incorpora gli elementi di sostenibilità non solo ambientale ma anche sociale. Ovviamente, si tratta di una modifica i cui frutti si vedranno in modo esplicito negli anni futuri”.

A conclusione di questa esperienza governativa Enrico Giovannini ha dichiarato che non sarà candidato alle prossime elezioni, ma non abbiamo dubbi che, alla luce di quanto ci ha detto, continuerà a seguire i temi a lui più cari come quello della declinazione nella realtà del concetto di sostenibilità, che può essere tradotto dall’utopia del suo libro in una realtà molto concreta.

Sede del Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibili-Roma

Foto di apertura da wikipedia.org – CC BY-SA 4.0