Siamo stati sconvolti dalla fiammata di ribellione e violenza nelle piazze di Parigi e di molte altre città francesi. Come al solito siamo stati bombardati dal chiacchiericcio di giornalisti e politici che sanno tutto della Francia e dei suoi problemi sociali. Il poliziotto che ha ucciso un ragazzino che non si era fermato al posto di blocco, ha dato certamente una magnifica opportunità per violenti e marginali che hanno incendiato automobili e spaccato le vetrine dei negozi.

C’è da chiedersi come sia possibile che molti abitanti delle banlieues si sentano oggetto di discriminazioni e razzismo nel paese della Rivoluzione Francese, che ha inventato i diritti sotto la bandiera di Egalité e Fraternité? Mio figlio ha abitato a Parigi per dieci anni ed è stato educato dalla scuola francese. Però mi dice che ha rispedito il motorino in Italia, perché un ragazzo su un motorino, veniva controllato dalla polizia sbattendolo al muro con le mani alzate e perquisito senza complimenti. Mi dice anche che puoi essere il più qualificato, ma se ti chiami Mohamed ti sarà difficilissimo trovare un lavoro.

Quando alla fine degli anni 1970, ho cominciato a lavorare in un grande studio legale, avevo spesso rapporti con la Francia, perché il francese è per me una madre lingua. Nei grandi studi legali di Parigi era assolutamente normale che qualcuno si chiamasse Hassan o Walid o Fethi. Nelle banche non solo il personale di livello più basso ma anche molti dirigenti portavano i nomi del mondo arabo mediterraneo dal quale venivano, come Algeria, Tunisia e Marocco.

L’unica cosa che li distingueva dai francesi erano i loro nomi, non certo il modo di vestire o l’astensione dagli alcolici. E nessuno si inginocchiava cinque volte al giorno per pregare. Per quella generazione di immigrati diventare francesi in tutto e per tutto era assolutamente naturale, anche perché le Università e il mondo del lavoro erano effettivamente aperti e basati sul merito. Molte approfondite analisi sociologiche si concentrano su quello che vediamo ora, e ci sono pochi confronti con quello che avveniva negli anni 1970/80. Perché questa osmosi, che non era certo pianificata e gestita, ha smesso di funzionare? La concentrazione di minoranze nere e musulmane in banlieues/ghetti, è sicuramente una delle cause, ma certamente non è né la sola né la più importante. Da una parte ci sono state le ricadute di lungo termine della riscoperta della identità islamica. Gli studiosi più attendibili la collocano a seguito del naufragio del socialismo nei paesi arabi come l’Egitto dopo la sconfitta delle guerre contro Israele. Una umiliazione della quale hanno beneficiato le componenti fondamentaliste, come i fratelli musulmani e il movimento Wahabbita.

Olivier Roy – foto del Center for the Study of Europe Boston University – licenza CC BY-SA 2.0.

Sarebbe impossibile in questa sede, condurre una analisi approfondita. Vale però la pena di citare i lavori di Olivier Roy, un grande studioso del terrorismo islamico. Non è il solo a farci notare che alla base di molti di questi fatti di sangue, più che l’Islam, c’è una grande rivolta generazionale. Molti giovani terroristi frequentavano le discoteche, bevevano alcolici e non erano certo devoti musulmani.

Nel nostro mondo i giovani sono stati particolarmente dimenticati e trascurati. La loro insoddisfazione si manifesta in molti modi, come l’uso di alcol e droghe, le bravate da pubblicare sui social, i rave e molti altri piccoli e grandi segnali di malessere. Gli estremisti islamici hanno speculato anche su questa insoddisfazione, addirittura persuadendo giovani, e non solo musulmani, ad andare a combattere per l’ISIS. Nell’anonimato e nel grigiore dei grandi centri urbani l’identità etnica e religiosa diventa l’obiettivo, una appartenenza, in un grande vuoto.

Infine è innegabile che le democrazie occidentali siano le prime a manifestare una decadenza di valori e diritti, a favore del consumismo e della ricchezza. Siamo stati per primi noi a mostrare che Egalité e Fraternité erano diventate parole prive di contenuti concreti. Il razzismo in Francia non si manifesta con insulti o picchiaggi, ma con una sottile e silenziosa discriminazione, che colpisce soprattutto le giovani generazioni. Le banlieues sono diventati ghetti dove vivono soltanto neri e musulmani. Che l’assistenza pubblica permetta la sopravvivenza di queste comunità non è sufficiente ed anzi offende l’applicazione concreta della Egalité e Fraternité.

Un sesto dei francesi è di origine straniera e presto ci saranno analoghi numeri in Italia e in molti altri paesi. La Francia sta facendo i conti con l’essersi messa le mani sugli occhi e sulle orecchie per troppo tempo e ora rimediare sarà molto difficile. La differenza dell’ammontare delle offerte al poliziotto bianco che ha sparato rispetto a quelle ricevute dalla famiglia del ragazzo ucciso, è significativa, ed è un magnifico sostegno terribile e silenzioso, ai sovranisti e razzisti che ci sguazzano.

Noi italiani saremmo ancora in tempo per prevenire questo gigantesco problema, ma la nostra politica appare incapace di visioni e soluzioni ed anzi, molto spesso, fomenta l’intolleranza. Siamo condannati alle violenze di Parigi o pensiamo che la polizia ci salverà?

Foto di apertura di Norbu GYACHUNG su Unsplash