Gira e rigira è sempre la stampa a ingannare i cittadini. Il cane da guardia della democrazia, secondo il vecchio adagio, in Italia è diventato il cane da bastonare. Direttamente o indirettamente i giornalisti vanno biasimati secondo i gusti e le pulsioni dei potenti.
L’Italia ha una lunga tradizione di intrecci tra potere politico, industriale, finanziario e organi di informazione. Una vischiosità che non ha impedito a migliaia di professionisti di fare bene il proprio lavoro nell’interesse di chi legge e ha il diritto a essere informato. Negli ultimi tempi, però, la politica ha invaso il campo come mai aveva fatto prima. Bisogna prenderne atto.
Il Consiglio d’Europa (e qui ho il piacere di scrivere su una testata europeista)  pochi giorni fa ha chiesto agli Stati membri di contrastare, per esempio, le cause legali abusive utilizzate dai “cosiddetti poteri forti per cercare di mettere a tacere giornalisti e altre voci critiche”. L’Europa ha inviato una raccomandazione a tutti paesi mebri, ma l’Italia per sua disgrazia, di slapp – come vengono chiamate le cause farlocche-  ne ha centinaia in circolazione. Ogni giornalista teme di dover affrontare azioni legali risarcitorie da parte di coloro che non amano essere criticati. Eppure è l’abc dell’ informazione. La libertà di stampa è una libertà fondamentale delle moderne democrazie. In Italia è garantita dalla Costituzione, da una serie di leggi, dal codice deontologico dell’Ordine dei giornalisti, dagli organismi sindacali e di rappresentanza della categoria. Il Consiglio d’Europa ha chiesto anche ai magistrati di essere veloci nell’esaminare le denunce e di garantire la rapida archiviazione delle cause infondate. I Parlamenti nazionali potrebbero introdurre persino sanzioni che scoraggino azioni contrarie ai principi della libera stampa.
Ma ancora, gira e rigira, il governo italiano nel modificare alcune norme del codice di procedura penale ha introdotto ‘il divieto di pubblicazione integrale o per estratto del testo dell’ordinanza di custodia cautelare finché non siano concluse le indagini preliminari, ovvero fino al termine dell’udienza preliminare’. Un principio bavaglio è stato definito dalla stragrande maggioranza dei giornalisti. Di fatto, la norma limita il diritto di cronaca; pone i giornalisti in una condizione restrittiva rispetto all’esposizione di fatti di interesse pubblico; priva i cittadini di notizie necessarie alla comprensione degli avvenimenti.  Cosa ha fatto il governo ? Ha modificato-  in peggio-  un emendamento di un parlamentare che faceva riferimento all’applicazione della direttiva europea sulla presunzione d’innocenza. Il risultato evidente è stato di ridurre ex lege la forza intrinseca del giornalismo.
La direttiva in questione -2016/343- non esclude che i nomi delle persone oggetto di indagine giudiziaria possano essere pubblicati. Il giornalista- e questo lo abbiamo scritto noi italiani nel nostro codice deontologico- rispetta i diritti fondamentali delle persone. Nei suoi articoli deve essere scrupoloso riguardo a chicchessia. Indagato ? Imputato ? Condannato ? Va scritto. L’articolo 4 della direttiva europea dice che non si “presenti la persona come colpevole”, per cui chi agisce in modo differente sbaglia. Qualsiasi cittadino può rivolgersi all’Ordine professionale (molti lo fanno) per accertare, sanzionare, ecc.; per intraprendere una strada disciplinare, giusta, ma non risarcitoria e profittevole. Quanti giornalisti free lance o al minimo contrattuale possono sostenere le richieste di risarcimento ? Non si pensi solo ai grandi nomi, garantiti da buoni legali contro le querele. Ci sono giovani colleghi pagati pochi euro ad articolo e che l’errore non se lo possono permettere. Giorgia Meloni è una “collega” iscritta all’Ordine  dei Giornalisti, approverebbe questi sfracelli se lavorasse in un giornale ?  La norma introdotta dal suo governo è punitiva. C’è un clima sfavorevole al lavoro giornalistico. Un parlamentare di Fratelli d’Italia dopo giorni di minacce ha ritirato una proposta di legge che prevedeva la punizione fino a 4 anni di carcere per il reato di diffamazione a mezzo stampa. Insomma, siamo su un crinale pericoloso e una società senza la stampa libera è condannata alla regressione.
Gli intrecci di cui parlavo all’inizio ci sono stati e ci saranno, non so ancora per quanto tempo. Tuttavia con centinaia di inchieste, articoli, commenti, siamo stati capaci di svelare le responsabilità degli autori di reati di ogni tipo: dalla criminalità organizzata, all’ambiente, ai crack finanziari, alle stragi, alle truffe, alle tangenti, al terrorismo, ai tentativi di golpe. Si faccia avanti chi non ha apprezzato questi straordinari lavori. Intimidazioni e querele non si sono fatte attendere per ognuno di noi. E i giornalisti morti ammazzati ? Quelli aggrediti, minacciati ? I colleghi sotto scorta ? I confinati per loro opinioni nelle redazioni ? Nessuno nega che ci sono stati esagerazioni e strumentalizzazioni contro soggetti pubblici, poi innocenti, scagionati.    Ma ci sono stati anche i condannati,o no ? Come operatori dell’informazione abbiamo le nostre responsabilità che non possono alterare le regole del gioco. È un gioco democratico che non piace ai prepotenti che preferiscono la propaganda, le veline, l’adulazione da parte di editori e giornalisti. E attenzione, il bavaglio solo apparentemente riguarda la cronaca giudiziaria, sappiamo che il potere dopo la mano prende il braccio.
L’informazione  a volte si auto condanna a funzioni improprie. In modo maldestro si gloria di essere quel quarto potere sanzionatorio, moralistico, indisturbato. Chi agisce in questo modo-  a mio parere- è incompatibile con la professione che va regolamentata ulteriormente per segnare un limite tra chi la esercita  e chi non la esercita, pur avendo il diritto a esprimere proprie idee.  Il paese può e deve discutere di questi temi cruciali. Credo anche che non si faccia abbastanza per aprire un dibattito profondo che forse farebbe venir meno la voglia di indebolire un pilastro della democrazia. Una libertà dello stato di diritto che se messa in discussione, può condurre un paese su strade molto pericolose.