“Giuramento Ciampi” by Montecitorio is licensed under CC BY-ND 2.0.

Se ne va una colonna portante del giornalismo del ‘900 alla bella età di 98 anni. Forse adottando l’adagio poetico “Confesso che ho vissuto”. Di Eugenio Scalfari rimarrà il ricordo di grandi capacità di organizzazione editoriale con la creazione di quello che sembrava una vera e propria azzardata sfida al Corriere della Sera nell’agone di una sfida tensiva con la borghesia italiana attraverso una testata che doveva riassumere il progressismo montante negli anni delle polemiche sul divorzio, sull’aborto, nel coacervo delle grandi battaglie civili della stampa italiana. Ora che Repubblica ha perso la propria carica innovativa si può misurare quanto coraggioso fosse il tentativo di forare la palude del conservatorismo.

L’asse con Carlo Caracciolo è stato il valore aggiunto della sua valorizzazione di giornalista prima e di direttore poi, il momento più felice di un connubio poi dissolubile. Si ricorderà il disvelamento del piano solo di De Lorenzo, la denuncia di trame nere, lo Scalfari che aderiva al Partito Radicale. Non tutto perfettamente documentato nei primi due casi come dimostrerà la condanna in Tribunale, poi assorbita grazie all’immunità parlamentare consentitagli dall’elezione in Parlamento con il Partito Socialista italiano. Politicamente contradditorio (fu fascista in gioventù, senza peraltro rinnegare quei primordi) Scalfari ha spesso scelto cavalli sbagliati su cui puntare dimostrandosi cattivo profeta in politica. Ottimo giornalista, valentissimo organizzatore, stakeholder maldestro. Ma la chiara predilezione per De Mita o D’Alema non ha pregiudizialmente nuociuto al successo editoriale della sua testata.

Elezione Ciampi – La Repubblica” by Montecitorio is licensed under CC BY-ND 2.0.

Scalfari è stato sempre capace di correggere in corsa gli errori commessi, cercando abili giustificazioni. Un esempio, il dorso di Repubblica non contemplava all’inizio lo sport. Ma per ragioni editoriali, pressato dalla concorrenza, via via per questo settore Scalfari ha assunto Brera, Clerici, Mura, Beha (dimessosi dopo una furibonda polemica) ovvero il fior fiore settoriale. Nel 1996 ha passato la mano, obtorto collo più che per reale convinzione. E se i primi suoi eredi, in primis Ezio Mauro, hanno intessuto con il fondatore una collaborazione qualificata valorizzandolo in prima pagina con editoriali sempre polemici, gli ultimi direttori (Mario Calabresi e Maurizio Molinari) più che altro lo hanno sopportato ritenendolo scomodo e ingombrante. Non è legato ovviamente a questo il giudizio profondamente negativo sulla loro gestione, evidenziato da un brusco calo di copie, dagli scandali paralleli della Gedi, dalla fuoriuscita di De Benedetti. Scalfari, adultero conclamato, in vecchiaia ha riscoperto religione e spiritualismo, intessendo un fitto colloquio con il Papa, spesso documentato con imbarazzanti uscite giornalistiche, per necessità diplomatiche spesso smentite o ridimensionate dalla Santa Sede. In definitiva segnali del logico declino di un giornalista che voleva sempre essere protagonista anche quando forze e nuovi scenari editoriali non glielo consentivano più. Dunque in totale sincerità ci terremo stretta la sua figura di intellettuale interventista e vivace organizzatore e polemista più che il profilo di scrittore, spesso ripetitivo e prolisso nei temi, anche se i cosiddetti “coccodrilli” funerari vi hanno già raccontato il contrario.

 

Foto di apertura:Eugenio Scalfari di Francesca Marchi / International Journalism Festival, licenza CC BY-SA 2.0.