Avevo seguito con attenzione il dibattito svoltosi sulla chat di TUTTIEUROPAVENTITRENTA scatenato dal progetto della cosiddetta “legge bavaglio” sulla stampa italiana.

Avevo detto che non mi sarei inserito nel dibattito, perché, dopo aver fatto per quarant’anni il giurista, mi sono reso sempre di più conto che il diritto, come del resto aveva detto Santi Romano, non è certo l’unico apparato di regole che governano la nostra vita.

Il grande giurista lo aveva già detto: la nostra vita si conforma a norme religiose, etiche morali ed individuali (che chiamiamo coscienza), e persino a quelle delle associazioni cui apparteniamo. Anzi come tutti sappiamo, il diritto è una forma di default, e cioè l’ultima ratio quando le altre non hanno funzionato. Quindi confermo la mia stima per i giuristi del nostro periodico come Alessandro Battisti e Piero Sandulli, ma le analisi dei cultori del diritto non mi sono sufficienti.

Si manifesta l’esigenza di regolare nuove situazioni e nuovi comportamenti umani e il diritto arriva necessariamente tardi, quando si sono già affermate nuove convinzioni nella società, oppure quando le nuove tecniche e i nuovi strumenti sono così incredibilmente forti da non poterne ancora apprezzare i formidabili rischi. I casi del divorzio, dell’aborto e del superamento del delitto d’onore, sono prove del ritardo delle discipline giuridiche, ma ce ne sono molte altre.

Oggi la tecnologia e la società si evolvono così rapidamente che il diritto non ha la possibilità di tenere il passo, oppure lo fa con metodi che difficilmente si riveleranno efficaci.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

I politici europei e italiani sbandierano una nuova legge sull’intelligenza artificiale, ma lo strumento è talmente potente, e si evolve talmente alla svelta, che la legge potrà rappresentare un pannicello caldo, che tecnici ed haker potranno facilmente ingannare. Chi volesse valutare seriamente i rischi – i potenziali orrori – dell’intelligenza artificiale, potrebbe leggere il saggio di Kate Crawford (Né intelligente, né artificiale, il lato oscuro della IA, tradotto in italiano) oppure la bellissima sintesi di questa grandissima studiosa americana su you tube, sotto il titolo “Rock, flesh and Rokets”. Questi studi mostrano non solo la capacità di manipolazione della informazione con la IA, ma evidenziano come in America il lavoro sulla IA sia stato finanziato – stranamente – da organizzazioni della Difesa e della Polizia!

Non è un caso che quando l’ONU ha adottato norme non obbligatorie per il rispetto dei diritti umani da parte delle imprese, siano state per prime le stesse imprese, e non certo gli Stati, a fare volontariamente proprie queste norme, che si chiamano oggi “Guiding Principles on Business and Human Rights”. Ovviamente non si tratta di un impulso etico e compassionevole, ma di evitare i problemi reputazionali che si erano manifestati all’inizio con i famosi palloni da calcio della Nike, che venivano prodotti dalla Nike attraverso il lavoro di bambini sfruttati. Oggi sono le imprese a controllare volontariamente le proprie filiere.

Ho scritto nella chat a Nunzio Ingiusto, un giornalista che stimo incondizionatamente, che quando mi rivolgo ai giovani, parlando della informazione, li esorto sempre ad accertare chi paga il giornalista o l’informatore che scrive o parla. Non intendo dire che tutti i giornalisti si muovano solo al servizio degli interessi di chi li paga, volevo solo dire che in un mondo in cui conta l’immensa potenza della finanza, delle grandi imprese e del denaro, l’indipendenza dell’informazione è necessariamente a rischio (il caso Big Pharm insegna!). Troppe opinioni e analisi sono condotte quando i proprietari delle fonti non potrebbero esserne colpiti, oppure le interviste televisive che vediamo in onda, sono spesso soltanto quelle che danno ragione a quello che l’intervistatore vuole dire. Per non parlare dei talk show che sono teatrini dove anche la contraddizione delle idee è spesso un puro spettacolo.

È la società del denaro che rende sempre più difficile avere giornalisti veri, inchieste vere, come quelle di Indro Montanelli o Igor Mann.

Foto di Johanna Nikolaus da Pixabay

Questo non significa che non ci siano buoni giornalisti, ma che è sempre più difficile per loro far sentire una voce dissonante. Ecco perché – sempre parlando ai giovani dell’informazione – suggerisco con forza di confrontare le fonti utilizzandone altre, soprattutto quelle più diverse dalla stampa ufficiale. La libertà di stampa, così come quella della magistratura, è il più grande strumento di controllo del potere, come mostra la trasmissione Report, il Watergate e Wikileaks, e va difesa ad ogni costo, dando per scontati errori e fake news che ci sono e ci saranno sempre. Mio suocero, un anziano ebreo molto laico, che aveva assistito alla propaganda nazista, e alle conseguenze che ne seguirono, soleva dire “meglio un po’ più di disordine, che troppo ordine”. E spero che questa affermazione sia interpretata nel senso giusto. Le calunnie rimarranno sempre tali, e c’è una giustizia per punire i colpevoli.

Nessuno è veramente imparziale, io per primo, ma se confrontate i telegiornali RAI con quelli di Sky TG24, vedrete la differenza. Giovanna Botteri è forse una delle mie ultime eroine, ma se ascoltate Nicole Di Ilio, su Sky TG24, vedrete che anche una giornalista, molto più giovane di Giovanna, sa fare il suo mestiere senza arroganza, con serietà, e con l’umiltà di chi vuole fornire una vera informazione.

L’autore dichiara a difesa del suo onore e della sua responsabilità, che tutto quanto scrive dipende esclusivamente dalla sua modesta esperienza e cultura e che non si è servito, né si servirà mai in futuro, di ChatGPT o altri strumenti di intelligenza artificiale per le sue ricerche e i suoi scritti.

Foto di apertura di congerdesign da Pixabay