C’è una domanda che in questi giorni di campagna elettorale più di un elettore, diciamo green, si pone: che fine farà la transizione ecologica di Draghi e Cingolani dopo il 25 settembre ? A destra, a sinistra, al centro,  non si trova nessuno che non si dica impegnato  per un’Italia più sostenibile, meno inquinata, meno a rischio salute o climatico. Le soluzioni, pero’,  differiscono vuoi per antiche convinzioni, vuoi per opportunismi, vuoi per guadagnare consensi da una parte o dall’altra.  Eppure proprio durante questa estate elettorale l’Italia – assieme agli altri Paesi europei – è alle prese con il risparmio di gas  L’energia più consumata da famiglie e imprese deve essere “contenuta” fino al 31 marzo del 2023. È scattata la riduzione volontaria del 15% della domanda di gas. Una  decisione forte che contempla anche la possibilità di un allarme sicurezza- magari in inverno-  dove la riduzione di gas da volontaria diventa obbligatoria. Ascoltiamo i leader del nostro Paese dibattere di fonti alternative e di abbassamento di CO2 per i prossimi anni. Le date del 2030 e 205o stabilite dall’Ue-  come ho avuto già modo di dire- hanno ormai un tasso di instabilità temporale piuttosto alto. Il motivo è semplice: tutte le varianti che influenzano il settore energetico sono in  movimento.

La transizione ecologica italiana deve andare avanti e il nuovo governo qualora volesse rivederne  alcuni principi  condannerebbe l’Italia  all’isolamento mondiale.  Dentro il PNRR, approvato dall’Europa solo dopo che Draghi lo aveva riscritto, c’è tutto quello che serve da qui al 2026 (!) per portare l’Italia sulla strada di uno sviluppo economico e sociale accettabile. Secondo la Corte dei Conti con il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza “ l’Italia rischia di vincere la battaglia, ma di perdere la guerra”.  Che vuol dire ? Che nonostante  nei primi sei mesi di quest’anno gli obiettivi progettuali siano stati raggiunti, non si è sicuri che lo Stato riesca poi a spendere i soldi in arrivo dall’Europa. I due capitoli più importanti  sono sicuramente le infrastrutture e l’energia. I bandi per le opere da farsi sono stati pubblicati o sono in via di emissione. Oltre  alla burocrazia ed alle professionalità che mancano, c’è sempre la politica. Possibile che la costruzione di un termovalorizzatore a Roma sia stato (in modo palese o occulto) uno degli argomenti per mandare a casa Mario Draghi? In Italia di impianti simili ne funzionano 37.  Chi sostiene che ci sono altre tecnologie per fermare l’emergenza rifiuti nella Capitale non ha mai detto cosa, come e quando fare. La guerra  in Ucraina con meno  forniture di gas ha messo a nudo responsabilità gravissime di una classe dirigente che ha fatto danni, bloccando, per esempio, le trivellazioni nei territori italiani a vantaggio di competitors stranieri. L’Italia con l’energia ha sempre avuto un legame strettissimo e senza intuizioni coraggiose di alcuni manager e politici; non avremmo raggiunto quei risultati che negli anni 2000 richiedono una revisione del modo di produrre, vendere, consumare. Geotermia, idroelettrico, nucleare, infrastrutture elettriche  sono stati i capitoli di un disegno che ha portato il Paese a diventare la settima potenza industriale del mondo. Un disegno non privo di contraddizioni, errori e qualche malefatta. Il valore delle scelte è rimasto solido, finché alcuni accadimenti non ci hanno fatto ripensare l’energia nucleare o la  costruzione di nuovi invasi per centrali idroelettriche. Negli anni ’80 il Sud non aveva il metano mediante tubazioni. Fu fatta una legge ad hoc per abbandonare carbone e gas in bombole.

Tra un mese avremo il nuovo Parlamento. “Non siamo disponibili a favorire investimenti nelle infrastrutture a gas o ad allargare le maglie delle concessioni di sfruttamento dei nostri giacimenti fossili” ha detto Giuseppe Conte. E’ il pensiero di quel che resta del M5S. Ma la transizione, il tempo intercorrente per raggiungere gli obiettivi finali per il clima, come viene gestita? Vogliamo davvero restare in Europa o c’è ancora qualcuno che vuole  la decrescita felice ?  Nel 2021 nelle rinnovabili sono stati previsti investimenti per 13,5 miliardi per una potenza di quasi 15 GW. L’Italia dovrebbe arrivare a 70 GW e a 95 GW di accumulo per stare al passo con l’Europa. Come facciamo se solo il 30% dei progetti è autorizzato ? E perché siamo andati in giro per il mondo a comprare gas liquefatto ?  Per un’altra fonte pulita da utilizzare – il biometano – , con buona pace degli ecologisti à la carte,  soltanto il 5 agosto scorso l’Ue ha autorizzato l’Italia per 4,5 miliardi di incentivi , dopo tre anni di discussione. La transizione ecologica non può essere abbandonata e di imbonitori non ce n’è proprio nessun bisogno.