a cura di

Rodolfo Ruocco

Ue ancella degli Usa

Il conflitto militare in Ucraina diventa economia di guerra in Europa e in Italia. L’autunno non promette niente di buono. Consiglio europeo, G7, Nato. I tre vertici dei paesi occidentali si sono susseguiti a fine giugno ma l’unica novità è stato il rafforzamento dell’impegno militare sotto la regia americana.

Non si intravede né l’ipotesi di una tregua, né di una pace tra Putin e Zelensky. C’è solo la mediazione della Turchia per tentare di creare dei “corridoi umanitari” nel Mare Nero per consentire l’esportazione del grano ucraino. Crescono i morti, aumentano le sofferenze, gran parte delle città orientali e meridionali dell’Ucraina sono state distrutte dai bombardamenti russi ma i negoziati sono fermi. Il prezzo economico più alto lo paga l’Europa. I costi del gas e del petrolio (il Cremlino è un grande esportatore) s’impennano sempre di più. I conti sono salati soprattutto per l’Italia, grande importatrice di metano e di greggio. Gli effetti sui portafogli delle famiglie e sulle finanze pubbliche sono pesantissimi. I prezzi galoppano soprattutto per gas, benzina e alimentari.

Mario Draghi, un tecnico di efficienza pragmatica, ha sempre evitato di drammatizzare. Tuttavia il presidente del Consiglio, chiedendo il 21 giugno il sostegno di Palazzo Madama alla decisione del governo di inviare altre armi a Kiev, non ha nascosto il problema: «In questi momenti, quando il Paese è coinvolto in una guerra…avere il sostegno del Senato è molto importante per me».

Servirebbe una iniziativa politica di pace forte, sostenuta da una proposta per un nuovo accordo sulla sicurezza in Europa in modo da rimuovere le paure della Russia di un accerchiamento. Ma nessuno prende l’iniziativa per una intesa modello Conferenza sulla sicurezza in Europa del 1975 a Helsinki. Nessuno prende l’iniziativa anche perché i maggiori governi dell’Europa sono in fortissime difficoltà: il premier britannico Johnson è stato costretto alle dimissioni, Draghi è a un passo da lasciare Palazzo Chigi, il presidente francese Macron non ha più la maggioranza in Parlamento, il cancelliere tedesco Scholz teme l’arresto delle sue industria per la mancanza di gas.

Gli Stati Uniti e la Ue sono paesi alleati con piani e interessi diversi. Il presidente americano vuole indebolire la Russia e contenere la Cina. Si prepara ad una guerra lunga, almeno fino al 2023. Washington, ha ripetuto Biden, sosterrà «gli ucraini fino a quando sarà necessario; faremo in modo che non siano sconfitti dai russi».

Macron, Scholz e Draghi fanno i conti con una economia di guerra. Puntano a una pace in tempi brevi. Anche con questo obiettivo il presidente francese, il cancelliere tedesco e il presidente del Consiglio italiano sono andati a trovare Zelensky a Kiev. Ma se l’obiettivo è lo stesso, sul come procedere Macron, Scholz e Draghi si dividono, come del resto fanno anche gli altri leader europei. L’Unione Europea frammentata fallisce. Fallisce soprattutto Emmanuel Macron, presidente di turno della Ue nel primo semestre del 2022.

Il caso delle sanzioni economiche fa testo. Joe Biden, assieme a Boris Johnson, vuole l’embargo totale contro il petrolio e il gas russo. Il presidente americano, forte dell’autonomia energetica degli Stati Uniti (anche il Regno Unito è in una analoga posizione), non ha problemi mentre l’Europa ha gravi problemi. Vladimir Putin si è inserito nelle divisioni. Il Cremlino ha preceduto l’embargo inattuato: ha fortemente ridotto le forniture di gas all’Europa, favorendo una crescita stratosferica dei prezzi.

Draghi ha indicato il gol messo a segno dal presidente russo: sul gas «Putin incassa le stesse cifre e la Ue ha difficoltà immense». C’è la necessità di «agire ora», ha avvertito, perché la decisione di discutere a ottobre del tetto ai prezzi «potrebbe essere troppo tardi». Il presidente del Consiglio da marzo ha proposto di varare un tetto al prezzo europeo del metano per calmierare il mercato. L’Europa gli ha dato ragione ma ha rinviato la decisione perché divisa.

L’economia di guerra diventa un incubo. C’è addirittura lo spauracchio di una totale chiusura dei rubinetti del gas da parte dello “zar”.  Per risolvere i problemi non basterà abbassare la temperatura dei termosifoni e quella dell’acqua calda della doccia.  La presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen mercoledì 6 luglio ha lanciato l’allarme accompagnato da un «siamo pronti» a varare un piano di emergenza contro questo pericolo. L’industria europea, in testa quella italiana, rischia di fermarsi.

 

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