Il modo in cui l’Italia sta affrontando la transizione energetica declinata sotto forma di economia circolare è sempre più una corsa contro il tempo per nuove infrastrutture. È risaputo che senza accumuli di energie rinnovabili o apparecchiature idonee ad immagazzinare ciò che si produce, non si va molto lontano. Accettando, dunque, le sfide del futuro, è urgente mettere mano ad un piano accelerato di investimenti per non smarrire la rotta. In  questi giorni si lavora ad un aggiornamento del Piano di Ripresa e Resilienza come conseguenza principale della guerra in Ucraina. Per il governo di Giorgia Meloni è l’occasione per stabilire davvero le priorità per il Paese e dimostrare, una volta per tutte, che anche il centrodestra ha a cuore i temi dell’ambiente e del clima. Inoltre, la Commissione europea ha appena allentato la normativa sugli aiuti di Stato in favore delle aziende che si impegnano sulla transizione energetica.

governo Meloni, Giorgia Meloni con i suoi ministri alla Camera

Sull’energia Giorgia Meloni ha sfruttato l’occasione della guerra in Ucraina per assicurare al Paese nuove forniture di gas e petrolio dai Paesi dell’area mediterranea. Il cosiddetto Piano Mattei darà risultati nel prossimi due-quattro anni, anche se la prospettiva di far diventare l’Italia hub del gas europeo solleva più di una perplessità. Non sono chiari, infatti, i costi di tutta l’operazione e quanto del gas che arriverà servirà effettivamente all’Europa. Abbiamo davanti anni di mix energetico con fonti tradizionali e rinnovabili, ma la strada per salvare il pianeta (Europa e Italia incluse, evidentemente) è la prevalenza delle seconde sulle prime. Sulla necessità di realizzare nuove infrastrutture il mondo del lavoro, fino a questo momento, ha mostrato una visione comune. Confindustria e sindacati chiedono che la transizione energetica non sacrifichi posti di lavoro, che gli investimenti- sia pubblici che privati- siano accompagnati da piani di sostegno per la formazione, che si proceda con assunzioni di manodopera qualificata. Infine, che la transizione segni anche un riscatto del Mezzogiorno. “L’Italia ha davanti due necessità: costruire nuove infrastrutture e garantire mantenimento dell’occupazione e della competitività delle aziende. Sono due facce della stessa medaglia” ha detto Giuseppe Ricci, Presidente di Confindustria Energia. Nello studio “Infrastrutture energetiche per una transizione sicura e sostenibile”, gli industriali si augurano che la transizione non lasci indietro nessuno, che stimoli la ricerca e lo sviluppo, valorizzi le tecnologie disponibili e il loro potenziale. In fondo ad un percorso che non accetta più ritardi ci sono gli obiettivi del RepowerEU al 2030 e del Net Zero Carbon al 2050. La partita vale 180 miliardi di euro che avranno un valore aggiunto di circa 320 miliardi ed una riduzione di emissioni di 127 Megaton di CO2 al 2030. Conviene a tutti giocarla bene la partita del nuovo millennio e vincerla.

 

Sul fronte sindacale c’è altrettanta attenzione. La Cgil ha istituito un forum di 30 esperti con l’obiettivo di rafforzare le azioni green in tutti i settori produttivi per limitare a 1,5° il riscaldamento climatico. La  transizione va accelerata con “ in funzione del RepowerEU, della revisione del Piano nazionale energia e clima per adeguarlo ai nuovi target di riduzione delle emissioni al 2030, per evitare gli impatti sociali della transizione, rivendicare piani e misure di giusta transizione “. Ecco il punto: per avere sviluppo sostenibile bisogna stare tutti dalla stessa parte. Essere convinti che una strategia siffatta non può che fare bene ad un Paese che può essere preso a modello in Europa. È anche un problema culturale . Perché ? Le infrastrutture da costruire saranno il perno di un’economia circolare che dalle campagne arriva alla grande industria, alle città, alle famiglie, all’export. Le 400 mila aziende agricole possono produrre biogas e biometano; si affiancano a eolico e fotovoltaico; l’industria vede diminuire i costi di energia; le città aumentano il livello di raccolta differenziata ed hanno a disposizione termovalorizzatori che generano altra energia pulita; le famiglie attraverso le comunità energetiche hanno tariffe più convenienti; l’Italia esporta merci a costi decrescenti. È solo una sintesi. È un progetto futuro economia che comprende fasi intermedie, non un sogno da svegli. Il Paese, terza economia d’Europa, ha la grande occasione di ridisegnare il proprio futuro. Aspettiamo solo che si inizi a costruirlo.