Questa è la storia di Vanessa, ci siamo conosciuti epistolarmente molti anni fa, lei era detenuta al carcere di Bologna ed io a Roma, abbiamo mantenuto uno scambio di lettere durato molti anni, senza mai creare false illusioni. Il rispetto della persona è stato il nostro legame, ci siamo raccontati di tutto, ed oggi posso finalmente scrivere questo racconto di una ragazza madre in un carcere.

Lei non poteva tenere il figlio con sé perché aveva più di sei anni, e il magistrato non ha mai concesso nulla perché lei per molte volte aveva disatteso la loro fiducia. Inizio parlandovi di Matteo, il protagonista della storia, un bambino pieno di gioia di vivere, molto curioso, ed ogni lettera che mandava alla mamma era piena di domande. Un giorno come molte volte mi era capitato, prendo la posta dalla guardia di sezione e vedo la lettera di Vanessa: la riconoscevo perché metteva sempre lo stampo delle sue labbra, era inconfondibile, andai in stanza e l’aprii.

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Non ho mai smesso di piangere leggendo quella lettera, aveva toccato il mio cuore, si sentiva una mamma inadeguata, non riusciva più a farsi una ragione di quel dolore immenso che provava quando il piccolo Matteo le scriveva anche in maniera molto scolastica, ma di una verità sconcertante. In quella lettera chiedeva alla mamma perché non poteva stare con lei e se gli voleva bene. Vanessa gli scrisse così “Matteo amore della mamma, non so raccontarti altre bugie, credo che sia giunto il momento che tu sappia che la mamma ha commesso degli errori, e che si trova in questo posto dove tu vieni con i nonni a trovarmi per scontare la pena, ora tu non capirai cosa vuol dire pena, e cerco di spiegartelo in poche parole: mamma doveva comprare delle cose e non avendo i soldi li ha presi ugualmente. Ed ora giustamente sono qui, ma vedrai che molto presto verrò da te e potremmo di nuovo giocare insieme, passeggiare nel parco vicino casa che ti piace molto, e scorrazzare tra i giochi che sono lì. Non pensare mai che mamma non ti voglia bene, anzi mamma ti ama profondamente e questa lontananza è lo strazio più grande tra di noi.”

Poi il foglio rimane bianco fino alla fine, vedendo meglio nella busta mi accorsi che c’era un foglio ripiegato molte volte, lo presi e lo lessi: “Caro Marco, con te posso parlare liberamente, quante volte ci siamo scritti dei nostri figli e dei tormenti della nostra anima, fare il genitore non è un mestiere che qualcuno ci insegna a fare, impari giorno dopo giorno, ogni esperienza vissuta è un tassello che metti nel tuo modo di essere madre o padre, e tante volte ci siamo confidati i nostri errori.

Ma ogni giorno che passa è sempre più difficile andare avanti, il carcere non aiuta, vorrei poter passare il tempo che mi rimane alla mia libertà con mio figlio Matteo, non sono egoista penso anche a te con i tuoi figli, ma sappiamo benissimo che tu dovrai ancora affrontare un periodo lungo, mentre a me mancano 15 lunghi mesi. Credimi ora mi sento svuotata dentro, è diverso essere madre lontano dal proprio figlio, non ero preparata e come tu sai mi sono tagliata le braccia diverse volte, per protesta perché non potevo stare in una struttura con lui.

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Poi ragionandoci sopra, veniva sempre la stessa risposta era solo colpa mia. Ma questa lontananza è un gesto atroce, ricordo quando sono venuti a prendermi, Matteo piangeva, mia madre cercava di distrarlo, ma lui vedeva quello che stava succedendo, io che riempivo la borsa e che davo degli avvertimenti a mia madre soprattutto quando lui avrebbe avuto la febbre alta, oltre alle medicine doveva mettergli una pezza bagnata sulla fronte. Vedi Marco noi mamme siamo fatte così, ci ricordiamo tutto dei nostri figli, non che voi padri non vi ricordate, ma vivete in modo diverso il rapporto. Comunque sono due anni che vivo questa non vita da madre, quando viene a colloquio, già pensa a quando andrà via, ogni volta un pianto isterico, che dura fino a casa della nonna, questo è il dolore che provo dentro, mio figlio che paga una colpa non sua, ma tu questo lo sai amico mio. Io spero che un giorno questo non esisterà più: un genitore e il figlio potranno stare insieme in strutture più idonee, il carcere oltre alla libertà fisica ti fa perdere un pezzo di te che mai più tornerà”.

Questa è una delle lettere che ci siamo scritti Vanessa ed io, ci siamo raccontati i problemi che solo noi potevamo capire, essere genitori invisibili è un male incurabile per i nostri figli, poi si ricomincia e sembra che tutto sia passato, ma sappiamo bene che non è così, quel dolore che vive dentro di te, non passerà mai, nessuno potrà mai ridare a Vanessa quelle gioie che non ha vissuto con Matteo; ora è libera, e racconta nelle scuole la sua esperienza, spiegando il difficile ruolo di mamma reclusa. Ora è una mamma di molti bambini, aiuta una scuola materna in Emilia e tutti la chiamano Va la mammina.

 

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