In giugno si vota per il Parlamento europeo, la prima volta per molti studenti dei miei corsi ai quali fornisco un breviario alla maniera di quello che Don Abbondio leggeva durante la passeggiata. Prima che i Bravi lo bloccassero con le minacce.

Il Parlamento è, con la Commissione, l’istituzione più singolare se non affatto eccezionale del sistema europeo. Altre organizzazioni internazionali conoscono gli organi parlamentari: sono depotenziati rispetto agli organi governativi, non sono eletti direttamente dai cittadini ma nominati dai parlamenti nazionali. Sono organi di democrazia indiretta e perciò poco percepiti dai cittadini come importanti. Le decisioni sono infatti demandate al metodo intergovernativo.

Nell’eterno passaggio dal metodo intergovernativo al metodo comunitario, quello preconizzato dal fondatore Jean Monnet di cui si è scritto su queste pagine, l’elezione diretta del Parlamento è stata la grande novità di fine Settanta. Prima l’Assemblea di Strasburgo, la si chiamava così per affinità all’Assemblea della Repubblica di Francia, era formata da parlamentari nominati dai rispettivi parlamenti nazionali. I parlamentari europei sono eletti su base nazionale, una volta a Strasburgo si raggruppano in famiglie politiche transnazionali. Da qui il dibattito non più fra stati membri ma fra gruppi politici. La somiglianza con i dibattiti nazionali è smagliante.

I sondaggi si moltiplicano con l’approssimarsi del voto, e non conosciamo ancora la composizione delle liste. Per l’incompatibilità fra mandato nazionale e mandato europeo si pone l’interrogativo ai leader politici se candidarsi a Strasburgo per trascinare la lista e subito dopo dimettersi a favore del primo dei non eletti. Un’operazione tattica che alcuni qualificano di raggiro degli elettori: indotti a votare per un candidato che trasferirà il mandato ad altro. Ma tant’è, gli artifizi della politica mediatica sono numerosi, il potere di attrazione del leader va considerato nel misurare le forze dei partiti. I sondaggi danno in vantaggio il tradizionale schieramento di Popolari, Socialisti e Democratici, Liberali. I primi due gruppi sono i tessitori della politica europea, fanno pendant all’asse franco-tedesco in seno al Consiglio. Dalle loro fila provengono i vertici delle istituzioni, con il programmato ricambio alla testa dell’Assemblea.

La coalizione di centro-sinistra, tanto per parafrasare lo scenario italiano, è sotto tiro da parte della coalizione conservatrice. Le due si fronteggiano sulla breccia del dilemma fra europeismo e sovranismo. La crescita negli stati membri delle correnti sovraniste, in Italia è significativo il voto alla Camera contro la ratifica delle modifiche allo statuto MES, alimenta la fiducia che l’assetto di sempre si possa ribaltare o quanto meno contenere. La componente sovranista punta a contare di più. Fino ad esprimere i nuovi vertici delle istituzioni?

Gli equilibri parlamentari contribuiscono a definire gli equilibri in seno alla Commissione ed al Consiglio europeo. Il Consiglio europeo sceglie il Presidente della Commissione tenendo conto del voto popolare. Il Presidente nominato deve passare il vaglio del Parlamento europeo. Lo spostamento dell’asse verso il sovranismo, sempre che venga dalle urne, condiziona la scelta della carica più pregnante del sistema: la Presidenza della Commissione.

I partiti intendono dare spessore al possibile candidato ed infatti indicano nelle loro liste lo Spitzenkandidaten, il candidato di riferimento per la Commissione. Salvo accordarsi su un nome unico sulla base del voto effettivo. Si lavora per la conferma di Ursula von der Leyen? Che ne è del ballon d’essai della candidatura Draghi?

Molti invocano una stagione costituente, dovrebbe salpare assieme al bastimento della nuova Assemblea. I Trattati istitutivi risalgono al 2009, mostrano crepe nella prospettiva dell’allargamento dell’Unione a oltre trenta membri. L’adesione dell’Ucraina si consumerà in tempi lunghi, occorre sin d’ora valutarne l’impatto sul sistema nel suo complesso.

Cosa ne sarà della difesa comune europea e del patto di solidarietà fra gli stati membri se il nuovo entrato è in guerra con la Russia? Tutti in guerra con Mosca? Una prospettiva da inquietare qualsiasi benintenzionato, non soltanto il solito Orbàn.

Il quadro è mobile, tanto per ricorrere ad una frase di circostanza. Ne vedremo delle belle e, verosimilmente, delle brutte durante la campagna elettorale. Si vota con il metodo proporzionale e ciascuna lista mira a differenziarsi. A giugno tornerà il caldo.

Foto di apertura generata con ChatGPT