La questione della censura e del controllo governativo sui media pubblici in Italia ha una storia lunga, arricchita di episodi che riflettono le tensioni tra il potere politico e la libertà di espressione. Recentemente, il caso di Antonio Scurati, noto scrittore e intellettuale, ha riacceso il dibattito sulla libertà di parola ed il ruolo della RAI, la radiotelevisione pubblica italiana. Il caso Scurati ha sollevato critiche che hanno scatenato ampie discussioni sul grado di indipendenza della RAI dal governo di turno.

 

Antonio Scurati (Francesco Alesi, Internazionale)

La storia della RAI, però, è costellata di episodi simili, in cui la censura si è manifestata sotto diverse forme. Il licenziamento del giornalista Enzo Biagi, è una delle più eclatanti interferenze politiche nella storia recente dei media italiani. Nel 2002, il Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi criticò apertamente Biagi (insieme ad altri giornalisti come Michele Santoro e Daniele Luttazzi), accusandoli di usare i media pubblici per un “uso criminale” contro di lui. Questo portò al cosiddetto “editto bulgaro”, che causò il licenziamento di Biagi e costituì un grave precedente di intervento politico nei contenuti editoriali della RAI. I governi di centro sinistra hanno invece, di solito, usato forme più soft, fondate su politiche mirate di assunzione di giornalisti “amici”. Forme, forse più eleganti, ma sempre e comunque orientate al controllo della informazione pubblica.

 

Ancor più indietro nel tempo, durante gli anni del dopoguerra e della Guerra Fredda, figure come Giulio Andreotti esercitarono un’influenza significativa sull’industria cinematografica (la televisione non c’era e quando arrivò fu subito strettamente controllata dal Governo), monitorando strettamente ciò che veniva prodotto e, talvolta, censurando contenuti ritenuti inappropriati o minacciosi per l’immagine del governo e dei suoi membri. Uno degli esempi più noti di questa prassi è la censura imposta al celebre attore Totò, i cui film venivano regolarmente tagliati o modificati per allinearsi alle direttive politiche e morali dell’epoca.

 

Questi episodi dimostrano come l’industria cinematografica prima e la RAI dopo siano state spesso utilizzate come strumento per il controllo della opinione pubblica, indipendentemente dall’orientamento politico dei governi in carica. Questa pratica comune a tutti gli schieramenti politici pone questioni fondamentali sulla gestione dei media pubblici e sulla loro indipendenza in Italia.

 

Una soluzione potrebbe essere l’adozione di un modello di gestione simile a quello della BBC nel Regno Unito. La BBC opera sotto un mandato che garantisce un alto grado di indipendenza editoriale, sostenuta da un sistema di finanziamento che limita l’influenza governativa diretta. Le regole che governano la BBC sono progettate per assicurare che la sua copertura sia imparziale e vasta, offrendo una varietà di punti di vista senza subire la pressione diretta del governo di turno.

 

Tuttavia, trasferire questo modello in Italia potrebbe essere un’utopia perché la RAI è sempre stata parte del bottino di chi vince le elezioni; bottino a cui nessuno schieramento ha mai dato mostra di voler rinunciare. La storia degli interventi governativi nei media complica l’adozione diretta di un sistema simile a quello britannico. Nonostante queste difficoltà, guardare a modelli esterni potrebbe fornire spunti preziosi per riflettere su come riformare la RAI, in modo che possa servire veramente l’interesse pubblico senza subire interferenze politiche.

 

La riflessione sul caso di Antonio Scurati e gli episodi storici di censura nella RAI invitano a considerare l’importanza di un’informazione libera e indipendente come pilastro di una democrazia sana e funzionante. Mentre il cammino verso una riforma complessiva della gestione dei media pubblici in Italia è lungo e complesso, è indispensabile avviare un dibattito aperto e costruttivo su come questi possano essere realmente al servizio dei cittadini, e non degli interessi politici di chi è al potere. Per rendere tale dibattito potenzialmente più costruttivo, l’attuale opposizione potrebbe evitare di gridare allo scandalo comportandosi come le famose “vergini dai candidi manti”, iniziando invece a fare proposte serie di riforma strutturale nella gestione del servizio pubblico offerta dalla RAI. Ma in realtà nessuno vuole riformare l’attuale modello di governance, ma solo essere il cavaliere al prossimo “Changez la femme”.

 

Lo scenario che cambia: la RAI perde costantemente quote di mercato e rispetto ai tempi della prima Repubblica l’offerta d’informazione è esplosa con una varietà crescente di forme ed idee tale da rendere, con le attuali norme, impossibile qualsiasi forma di censura. Si può affermare che oggi ci sia molta più libertà di espressione che mai. Il caso Scurati ne è la riprova. Se avesse partecipato alla famosa trasmissione lo avrebbero notato in pochi, invece così il suo ultimo libro è andato a ruba al punto di dover andare in ristampa a causa dell’aumento delle richieste.

Posso sperare che qualcuno censuri il mio articolo? Avrei un paio di libri da pubblicare…