Davvero il Next Generation Eu è l’occasione per disegnare un nuovo Paese solo con le energie rinnovabili? Attese e pragmatismo nelle valutazioni dei Proff. Davide Tabarelli e Alberto Clò, tra i maggiori esperti di energia europei.

Non sarà un piano facile, né veloce. Tutto quello che l’Italia sta per presentare all’Unione Europea per uscire «in avanti» dalla pandemia avrà bisogno di tempo e di consenso. Su entrambi questi elementi pesano variabili che possono travolgere il racconto che la politica ha fatto del Recovery plan da un anno a questa parte. Il capitolo più complicato di tutto il progetto di rinascita – PNRR (Piano nazionale di ripresa e di resilienza – ruota intorno al disegno di uno sviluppo sostenibile con l’abbandono delle fonti di energia tradizionali. Una bella Italia adagiata sulla green economy.

Prof. Davide Tabarelli-Foto dal sito della Università di Bologna

Ma «il declino delle fonti fossili è lontano. Non dobbiamo confonderlo con la sua reputazione, che non è mai stata così bassa» ha detto Davide Tabarelli, professore all’Università di Bologna, noto per le sue ricerche, presidente di www.nomismaenergia.it quando l’ho intervistato ad inizio 2021. «I fossili contano oggi per l’80% dei consumi di energia mondiale e per il 70% in Italia. È da 50 anni che stiamo facendo politiche per ridurre i consumi e il loro peso» ha aggiunto. Possibile che ora in soli 6 anni – entro il 2026, secondo il Next Generation Eu – l’Italia investirà tutti gli 80 miliardi stimati dal ministro Roberto Cingolani per la transizione ecologica? Che in così poco tempo cambieremo modo di produrre, consumare, conservare, riciclare? Si enuncia uno scenario con città sostenibili, senza fonti inquinanti con l’idrogeno accanto all’eolico, al fotovoltaico, al biometano. «L’idrogeno è degno di grande attenzione, c’è un trend internazionale da cui non ci possiamo tagliare fuori. Dobbiamo avere l’ambizione di guidare la transizione ecologica», ha detto fiducioso Cingolani. Si, però «L’Europa, i singoli Paesi, stanno mettendo decine di miliardi di euro nella ricerca dell’idrogeno. È una soluzione distante, disperata, perché tutti parlano di transizione come se fosse una cosa dietro l’angolo, ma non è vero» mi ha spiegato Tabarelli.

Prof. Alberto Clò – Foto da Rivista Energia

È tutto in divenire, dunque, con la massiccia presenza sul percorso italiano del nuovo ministero della Transizione ecologica. Il mondo industriale e scientifico è diviso nonostante sia complicato e politically incorrect non unirsi alla schiera degli ottimisti. Per capire come si può avere una buona sintesi tra politica e strategie industriali, ho dialogato anche con un altro grande esperto di energia italiano, il professor Alberto Clò. Già ministro dell’Industria e del Commercio estero, direttore di www.RivistaEnergia.it, fondata insieme a Romano Prodi. Clò resta tra i più autorevoli commentatori europei delle questioni energetiche e geopolitiche. Cortese, ma prudente prima di ogni considerazione invita tutti a «dire le cose come stanno, perché è il comportamento da seguire, evitando di diffondere illusioni». In tema di sviluppo sostenibile, poi, è come dire che la terra è piatta.

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Ma in Italia è bastato creare il ministero della Transizione ecologica per sperare in un futuro diverso, ho chiesto a Clò? «Non so se sia stato sufficiente una modifica delle competenze ministeriali per suscitare in milioni di italiani la speranza che si realizzi un modello di sviluppo più sostenibile, termine tanto abusato da perdere di significato», ha risposto. «Quel che si indica come transizione energetica è una vera e propria rivoluzione. Dovremo cambiare drasticamente i nostri stili di vita e dubito che la popolazione sia pronta a farlo. Sono processi che richiedono tempi lunghissimi non comprimibili nell’arco di pochi decenni. Che piano di ripresa l’Italia deve portare, allora, in Europa? «Spero che sia l’opposto di quello approvato dal nostro Governo [Conte] il 12 gennaio. A vagliarlo dovrà essere Bruxelles sotto l’occhio severo degli Stati membri del Nord, che si chiederanno come faremo ad attingere ai fondi del Next Generation mentre siamo incapaci di utilizzare i fondi di coesione europei. Insieme ai contenuti, per essere credibili agli occhi europei, dovremo istituire una cabina di regia (richiesta dalle stesse regole europee) che è tutta da disegnare e realizzare». Come Tabarelli, anche Clò ricorda che la quota delle energie fossili da venti anni in qua è inchiodata all’80% contro nemmeno il 2% delle nuove rinnovabili (solare ed eolico). Il mondo gira con l’elettricità che viene prodotta ancora con il 64% di energie climalteranti.

Qualcosa non quadra, perché nel dibattito preparatorio del PNRR si è detto che nei prossimi anni si produrrà addirittura l’acciaio con il solo idrogeno. «Produrre acciaio tramite idrogeno da risorse rinnovabili – cosiddetto idrogeno verde – è tecnicamente possibile, ma maledettamente complesso e costoso» risponde Clò. Ci sono iniziative avviate in Svezia nel 2016 ma che diventeranno commerciali soltanto nel 2040. Lui pensa che per avere successo dovrà cambiare la concezione di fare impresa, la cultura aziendale. «L’idrogeno andrebbe prodotto a non eccessiva distanza. Vi sono mille condizioni perché questa riconversione possa avvenire, ma quella dei lunghi tempi è dirimente». L’industria italiana ha una lunga tradizione di adattamento tecnologico, anche se molto lento negli ultimi venti anni. In questo passaggio storico ha interesse per le risorse europee. Da mesi dialoga con la politica ma quanto effettivamente è pronta a stare dentro un disegno di sviluppo sostenibile che la riguarda direttamente? Clò conosce il mondo delle imprese per essere stato nei CdA di importanti aziende: «Sinora mi sembra si sia parlato di tutto e di più. Hanno pesato interessi particolari non sempre coincidenti con quelli generali. Penso, invece, sia dirimente la selettività dei progetti: chi vi contribuirà con proprie risorse, o se si spera solo di attingere a mani basse a quelle europee». In altre parole chi paga, cosa, quali costi ricadranno sulla collettività? È un rischio palese? Pare proprio di sì, risponde, perché «Nonostante i consumi di energia siano calati, le bollette continuano a lievitare, riducendo ulteriormente il potere di acquisto delle famiglie. Mentre i bilanci delle imprese registrano aumenti degli utili».

Foto di OpenClipart-Vectors da Pixabay

La rivoluzione dolce di Mario Draghi e della sua maggioranza, insomma, può avere conseguenze sul modo di vivere delle persone, senza particolare distinzione per classi sociali, differenze geografiche, culturali, gap tecnologici. D’altra parte gli antichi squilibri dovrebbero trovare risposta in tutti gli altri capitoli del PNRR, se non si vuole costruire un disegno vago per un Paese immaginario. «Seguendo la politica, le narrazioni sul Green Deal, le lodi degli innovatori, possiamo anche sbandare» mi aveva detto Davide Tabarelli. Speriamo proprio di no.

 

Foto di apertura di Yves Bernardi da Pixabay