Nel viaggio che ho intrapreso sulle pagine di TUTTI Europa 2030, alla scoperta di chi sono gli italiani negli anni Venti del secolo XXI, ho incontrato molte facce e molte storie. Poi un giorno, sul giornale, ho conosciuto la vicenda di Seid: 20 anni, calciatore di Nocera (NA), Seid era un cittadino italiano di origini etiopi che si è suicidato a soli 20 anni.

Un paio di anni fa aveva scritto un post straziante sulla sua pagina facebook, denunciando il razzismo di cui era quotidianamente oggetto da quando la propaganda politica della destra sovranista ha riportato in auge il tema della migrazione e l’immaginato allarme ad essa legato. Seid parlava di come questo condizionasse i suoi comportamenti e – peggio ancora – l’immagine che aveva di sé stesso.

Quando i genitori hanno dichiarato alla stampa che il suo suicidio non era da ascriversi a quella terribile testimonianza su cosa vuol dire essere neri in Italia, alcuni si sono messi a tuonare: Ecco, visto? Non è colpa nostra, non ce l’aveva con noi. Da noi c’è al massimo una benevola goliardia, ben lontana da quanto perpetrato dai vicini europei nel corso dei secoli. Italiani, brava gente.

Pur profondamente innamorata del mio Paese, non posso negare che invece, per me, la dichiarazione dei genitori di Seid, per quanto probabilmente accurata riguardo alla vicenda, non toglie nulla alla sua denuncia, che anzi ci spinge come già tante vicende di cronaca hanno tentato di fare ad una seria ed urgente riflessione su noi stessi, sul nostro passato, presente e futuro.

Per esempio: che cosa rivela del Bel Paese il fatto che Roberto Calderoli, il quale appena qualche anno fa si riferiva alla Ministra Cecile Kyenge paragonandola ad un Orango (e che per questo è stato condannato) abbia proseguito indisturbato la propria carriera? Oggi vicepresidente del Senato, Calderoli è rimasto in carica per anni e lo è persino con l’attuale governo.

A briglia sciolta guardo indietro, e la memoria mi va ai tempi del liceo, e allo spettacolo orribile dei derby Roma-Lazio, durante i quali la curva si scatenava in ululati scimmieschi non appena un giocatore nero prendeva palla. Tutto senza che venisse preso alcun provvedimento serio. Una generica condanna sulle pagine dei quotidiani, una pacca sulla spalla, e via, verso la prossima partita.

Che altro?

Tra il 2011 e il 2018 ci sono stati almeno tre episodi terroristici, di matrice suprematista bianca, durante i quali sono morte diverse persone. Tra questi, Idy Diene, me lo ricorderò per sempre, perché all’epoca abitavo a poche centinaia di metri da dove è stato ucciso, in pieno centro a Firenze. Negli anni successivi, la targa sul ponte Vespucci che ne ricorda la vicenda è stata più volte vandalizzata.

Qualche anno dopo, nel 2020, Willy Monteiro Duarte moriva a Colleferro, sotto le botte di personaggi che si autodichiaravano fascisti; pochi mesi fa, al napoletanissimo avvocato Hillary Sedu, veniva chiesto di esibire il tesserino perché il giudice che non poteva credere di avere di fronte a sé un avvocato nero; a inizio giugno il dottor Yontu, medico fiscale a Chioggia, è stato minacciato e aggredito con irripetibili insulti razzisti da un suo paziente. Il tutto nell’indifferenza di chi assisteva alla scena.

Il web è pieno di testimonianze e denunce di questo tipo, ai danni di donne, uomini e bambini, in maniera trasversale, da Nord a Sud, spesso documentate con foto e video. A volte si tratta di vere e proprie aggressioni, a volte di umiliazioni e piccole miserie locali che uccidono la dignità delle persone e il senso di comunità che dovrebbe nascere tra chi condivide lo stesso spazio. Ciononostante, la nostra società sembra più facilmente credere al presunto allarme migrazione (tra chi grida all’invasione, chi alla sostituzione etnica, e chi alla dittatura del politicamente corretto) che all’esistenza di un razzismo sistemico che coinvolge anche i nostri concittadini. Concittadini come Seid appunto.

Un raggio di sole nel buio dello stato di negazione in cui sembriamo navigare: le storie che ho il privilegio di raccontare qui, sembrano descrivere una realtà che viaggia su un vettore di segno opposto. Se è vero che l’esigenza di questa rubrica nasce proprio dalla volontà di portare alla luce un’altra Italia, oltre l’immagine che abbiamo di noi stessi, è anche vero che questa Italia sembra avanzare a dispetto della propaganda di destra (che a torto si fa chiamare centro-destra, quando ha tutti i caratteri dell’estremismo) e dell’inettitudine di un centro-sinistra che ha appoggiato nell’ultimo governo, l’orrore dei cosiddetti “decreti sicurezza”.

In tale realtà ci sono Viola e Asif, che ho incontrato virtualmente, nel salotto dell’appartamento che condividono da quando la pandemia li ha tenuti separati per 5 mesi. Asif, infatti è rimasto bloccato – causa covid – in Bangladesh, il Paese che ha lasciato 8 anni fa per venire in Italia a studiare economia all’Università di Trieste.

– Quindi ecco, non e arrivato con il barcone dice Viola – Sembra assurdo ma qualcuno ce lo chiede. A parte che è arrivato in aereo, ma poi come si potrebbe arrivare in barca dal Bangladesh? Circumnavigando l’Africa? –

– Vi capita spesso di ricevere questi commenti? – chiedo loro

– Per lo più da estranei, per fortuna, gli amici dopotutto si scelgono – dice Asif

– E online. Online la gente si scatena. Quando Asif è rimasto bloccato per quei 5 mesi eravamo in piena pandemia. Sui social media uscivano notizie di bengalesi che stavano provando a rientrare e naturalmente io le seguivo per capire cosa stava succedendo. Non sai i commenti, erano terribili. Io mi accanivo a rispondere e finivo a litigare con degli sconosciuti. Asif mi diceva che non ne valeva la pena e di lasciar perdere –

– Quindi con la famiglia non ci sono stati problemi? – domando mentre loro ancora si sorridono complici.

– Problemi no. Qualche perplessità iniziale forse –

– Tu però ai tuoi non lo hai detto subito – lo punzecchia Viola. Noto che nel corso dell’intervista lo farà spesso, in un gioco nel quale sembrano divertirsi molto e che è una vera delizia da guardare.

– Va bene, un po’ sì. Non sapevo come avrebbero reagito. Soprattutto mia madre. La prima a saperlo è stata mia sorella comunque, che ha nove anni più di me ed praticamente la mia migliore amica da sempre. Con mia madre mi vergognavo –

– Di cosa ti vergognavi? – chiedo

– Io ho sempre voluto visitare il mondo, ma mio padre ci teneva che restassi in Bangladesh. Quando è morto ho preso coraggio, e mia madre non si è opposta, anche se sperava si trattasse di un periodo e che dopo qualche anno tornassi a casa, magari per sposare una ragazza bengalese. Mi vergognavo, non so, di darle un dispiacere forse. I matrimoni dei miei fratelli sono entrambi combinati, per la generazione di mia madre è una cosa normale. Io sono il più piccolo, con me sono sempre stati più morbidi, quindi di matrimoni combinati non si è mai parlato, ma che la sposa sarebbe stata bengalese era qualcosa che davano tutti per scontato –

Mi fermo qualche secondo a riflettere. In fondo, l’altra cosa che emerge in questo racconto, è che si dava anche per scontato che ci sarebbe stata unA sposA, e un matrimonio. Mi riprometto mentalmente di cercare qualche informazione sulla comunità LGBTIQ+ in Bangladesh, ma adesso non è il momento.

– E come l’hanno presa? Tua sorella prima e tua madre poi, intendo –

– Mia sorella mi ha guardato qualche secondo, poi ha detto “se tu sei felice per me va bene”. Mia madre mi ha detto che rispettava la mia decisione ma che appunto, era qualcosa che avevo scelto io, e dunque sarebbe spettato a me farmi carico delle eventuali conseguenze. In realtà è cambiato tutto da quando l’hanno conosciuta di persona. Prima della pandemia abbiamo fatto un viaggio in Bangladesh. Io dovevo partire da solo ma mi sembrava una bella occasione per farle conoscere il mio Paese. Però per qualche ragione ero convinto che a lei non importasse niente di venire, quindi gliel’ho chiesto un po’ come per caso, non sapevo davvero come avrebbe reagito. Non mi dimenticherò mai quando le ho sentito dire che sì, certo che sarebbe venuta –

Perché pensavi non le importasse?

– Credo che nonostante il nostro legame sia molto profondo, certi pregiudizi sono duri a morire. Avevo in testa l’immagine della ragazza italiana a cui non importa niente di conoscere il Bangladesh –

E che cosa è successo quando siete andati? Viola, che ti è parso del Bangladesh e della famiglia di Asif? –

– È stato un viaggio in un altro mondo. La famiglia di Asif è stata davvero accogliente. Ti faccio un esempio: nelle due settimane che sono stata a casa loro, poiché io non amo il cibo piccante, non hanno mai cucinato nulla che lo fosse, neanche per loro stessi. Considera che la cucina bengalese è praticamente tutta piccante… –

– Io avevo voglia di mangiare cose tipiche… Non tornavo da tre anni… Ma niente, la priorità era Viola. E per mia madre da allora sostanzialmente è rimasto così: se per caso le dico che abbiamo discusso su qualcosa mi risponde che tanto vale chieda scusa tanto sicuramente è colpa mia –

Scoppiano entrambi a ridere di gusto, spalla contro spalla.

– Devo però ammettere che è facile conquistare una suocera che si trova a novemila chilometri di distanza e che non parla italiano – chiude lei

– Però hai conquistato anche mia sorella e mio fratello. Credo che l’incontro che mi aspettavo sarebbe stato più problematico era quello con lui, invece è andato benissimo. Adesso si sentono su whatsapp come due vecchi amici –

E la tua famiglia, Viola? –

– Secondo me è stata fondamentale l’apertura mentale da un lato e dall’altro, nel nostro caso. Mia madre, per esempio, ha capito che stavo uscendo con qualcuno e mi ha chiesto il nome. Quando gliel’ho detto mi ha chiesto di dov’era, e quando le ho risposto che Asif è bengalese è rimasta perplessa. “Bengalese vuol dire musulmano?” si capiva che era un po’ allarmata. Mi ha chiesto se avessi intenzione di convertirmi. Tempo dopo ha dovuto ammettere che questa reazione era probabilmente il frutto di tutto quello che sull’islam abbiamo sentito negli anni. A essere completamente onesti, bisogna dire che entrambe le famiglie si sono poste il problema della religione. Noi abbiamo trovato un equilibrio che nella sua semplicità forse nessuno si aspettava  –

– Cioè? –

– Cioè Asif prega, fa il ramadan, non mangia maiale, e insomma segue i precetti della sua religione, e io no. I mie genitori non mi hanno dato una educazione religiosa, non mi hanno neanche battezzata (cosa piuttosto comune in Italia – NdA). Hanno lasciato trovassi io la mia fede e io semplicemente non l’ho trovata, non sono credente. –

– Come mai dici che nessuno se lo aspettava – continuo io. Stavolta risponde Asif

– Ero un po’ ansioso anch’io sul tema. Mi aspettavo che una ragazza non islamica mi avrebbe chiesto di bere alcol, di mangiare maiale, di non pregare. Credevo che mi avrebbe messo pressione per allontanarmi dalla mia fede –

Mi affascina molto questo punto di vista. Se ci ho messo pochi secondi ad immedesimarmi nella mamma di Viola, considerando l’islamofobia di cui ci siamo tutti nutriti a lungo (e a maggior ragione i pregiudizi sulla comunità bengalese) ma non avevo considerato in maniera lucida quali potessero essere le paure dell‘altra parte. Su questo tema, nel discorso collettivo, ci vediamo molto più facilmente vittime che aggressori.

– E se arrivassero dei figli un giorno? Crescerebbero musulmani? – domando

Ne abbiamo parlato, Asif vorrebbe dare una educazione religiosa ad un eventuale figlio. Io non sono contraria tutto sommato –

Per me si tratta di fargli conoscere la mia religione, poi se non vuole seguirla va bene lo stesso

Va bene, ma se è una figlia femmina, per esempio: velo si o velo no?

Se lo vorrà mettere sarà una scelta sua dice Viola

Il velo non è obbligatorio. Si può essere delle buone musulmane anche senza mettere il velo: mia madre lo mette, mia sorella no. È una scelta personale incalza lui. Da come parlano si capisce che si sono confrontati sul tema – Anche io a volte trasgredisco. Magari mi capita di bere un poco di vino o di birra in qualche occasione speciale. Certo mai superalcolici –

Ancora una volta, Viola ci fa ridere tutti e tre quando aggiunge – Certo, perché la gravità della trasgressione aumenta con l’aumentare del grado alcolico –

Ad ogni modo – continua  – forse per me il punto è che non si può imporre niente agli altri. Se insegnerai una religione a dei bambini non è detto che questi la seguiranno, quindi se per lui è importante non mi costa niente dire di si. Sarà per la mia esperienza personale: mio padre è morto dopo dieci anni di malattia, io ho sviluppato una visione forse un po’ cinica, ma tutto sommato credo molto nel vivi e lascia vivere –

– Quindi aggiungo io – armonia completa, giusto? –

Più o meno, dai dice lei ammiccando – per me la cosa più fastidiosa è la quantità di volte che le persone mi chiedono se mi convertirò all’islam. La cosa non è in piano, ma questa sembra la domanda intorno a cui gira tutto. Il fatto è questo: ci sono aspetti della nostra relazione su cui abbiamo discusso a lungo, temi importanti come quello della religione, certo, ma non solo –

È bello – aggiunge Asif – Viola mi ha sempre aiutato a guardare le cose da un punto di vista diverso –

Tutte le coppie discutono di schemi educativi, se hanno in programma un futuro insieme. Quando lo facciamo noi però, ho l’impressione che le persone si aspettino uno scontro tra civiltà più che un dialogo

Li saluto promettendo loro di aggiornarli quando l’intervista sarà pubblicata.
Più tardi, mentre il pomeriggio scivola nella notte, mi tornano in mente le ultime parole pronunciate da Viola, che – anche se in un contesto diverso, assomigliano a quanto mi ha detto Eve nell’intervista dedicata alla sua famiglia: non appena vediamo qualcosa che ci sembra fuori dalla norma, il nostro sguardo diventa quello dell`osservatore attento che non si lascia sfuggire l`occasione per trovare la conferma delle sue idee preconcette.

Cosi` sottoponiamo ciò che crediamo andare fuori dalla norma al tremendo stress di dover rispondere ad aspettative elevatissime. Se sei diverso i tuoi comportamenti non parlano solo di te, ma di chiunque condivida quella differenza con te: il tue azioni saranno usate contro chiunque appartenga alla tua categoria. E` normale che le coppie discutano continuamente su come educare i propri figli, su se e che tipo di cerimonia scegliere per formalizzare la propria unione, su quali dinamiche domestiche adottare. Ma quando lo vediamo accadere in una coppia interreligiosa ci aspettiamo che ogni occasione di disaccordo deriverà da questa specifica differenza. E se anche questa logica sembra trovare un suo appiglio nella realtà – perché per esempio, la differenza tra l’obbligo, la possibilità, o l’assurdità di scegliere di indossare il velo sono tre fattispecie attinenti a tre ambiti culturali differenti – si tratta di una logica pericolosa, che ci spinge a guardarci con sospetto, a notare sempre e solo i punti in cui ci troviamo in disaccordo rispetto a quelli in cui ci troviamo in accordo.

episodio #2