Via Margutta – Foto di Andrew Moore su Flickr

“Nobile semplicità e quieta grandezza”, così descriveva questa piccola via del centro di Roma il grande storico dell’arte Johann Joachim Winkelmann (1717-1768).

L’origine del nome della via ha molte ipotesi. Probabilmente dalla famiglia dei Marguti o da Margutte, un barbiere un po’ tonto e rozzo che secoli fa dovrebbe aver aperto qua la sua bottega, o da sporco, sudicio, visto che la stradina non aveva sistema fognante ed era percorsa da un rivolo di scolo di acque non proprio limpide e pulite proveniente dal Pincio, ironicamente chiamato maris gutta quindi margutta.

Dalla metà del ‘500 via Margutta è solo una stradina secondaria dove sicuramente saranno state comuni stalle, fienili e laboratori artigiani, che serviva il retro delle edificazioni sempre più rilevanti che si affacciano sulla via del Babuino, strada che dalla Piazza del Popolo, accesso a Roma da Nord, arriva alla piazza dove sorge il Palazzo di Spagna, Ambasciata della nuova potenza mondiale da alcuni decenni.

Secondo alcune fonti già dal Medioevo nasce la tradizione di strada degli artisti, quando vi aprì bottega un artigiano che eseguiva ritratti, fontane e ringhiere. Probabilmente è la sua posizione interessante in una zona che dal ‘500 è in continua espansione, ma anche l’essere un po’ defilata e quindi economicamente depressa, rispetto alle strade e piazze vicine, che fanno di via Margutta il luogo preferito dove nel tempo proliferano studi di artisti.

Forse è al numero 33 che prese ‘bottega’ Orazio Gentileschi, tra i più famosi artisti dei cosiddetti ‘caravaggeschi’, ma la strada sarà frequentata anche da molti artisti stranieri soprattutto fiamminghi come Paul Brill e soprattutto Peter Van Laer, il Bamboccio, da cui prese vigore la corrente dei

‘Bamboccianti’. Erano artisti piuttosto ‘caciaroni’ e festaioli che apprezzavano i piaceri della vita e soprattutto il vino.

Nei secoli del Grand Tour tutta la zona si anima di stranieri e artisti, tanto che al civico 53b si installa l’Accademia Britannica fondata da sir Thomas Lawrence e sulla piccola via della Fontanella, proprio all’angolo con la nostra, aveva il suo studio un altro inglese, John Gibson, allievo di Canova, che tra l’altro nei pressi era ‘di casa’.

Nel frattempo la prestigiosa Accademia di Francia si era installata a Villa Medici e quindi erano molti gli artisti che frequentavano tutta la zona. Di sicuro le osterie dei dintorni dovevano essere molto animate e piene di assidui frequentatori che parlavano ogni idioma dell’Europa di quei secoli.

Finalmente nel corso dell’800 Monsignor De Merode, belga di origine ma molto ben inserito nella Roma di Pio IX, fiuta qui un buon business: acquista una consistente proprietà dal lato del Pincio, smantella gli orti, realizza un vero e proprio piano edilizio con bonifica del sistema fognante e il vicolo maleodorante acquista nuova dignità.

È il via per l’istituzionalizzazione della strada come meta di artisti. Viene costruito il Palazzo Patrizi che dal 1887 al 1960 fu

omaggio a Giulietta Masina e Federico Fellini – Foto di Sonse su Wikimedia

sede dell’Associazione Artistica Internazionale e che ospitò nei cosiddetti Studi Patrizi, numerosi artisti da tutto il mondo, oltre che il Teatro Margutta aperto qui nel 1929 e non più attivo.

Al n. 97 un busto con targa ricorda il pittore Giordano Bruno Ferrari fucilato a forte Bravetta nel maggio del ’44, patriota dal destino segnato già dal nome.

Via Margutta era un punto di passaggio quasi obbligato per i grandi artisti del ‘900 che passavano da Roma e non solo pittori come Picasso o Guttuso o Novella Parigini, che aveva il proprio studio nel Palazzo Patrizi, ma anche musicisti del calibro di Wagner, Liszt, Puccini e Mascagni.

Poi è la volta del cinema ad ingigantire la fama di questa stradina: nel film Vacanze Romane al n. 51 era ospitata Audrey Hepburn nell’edificio dove abitava Gregory Peck, ma poi protagonisti della Dolce Vita come Federico Fellini e Giulietta Masina e infine Anna Magnani restano legati a questo angolo di Roma.

Arti, tutte le arti hanno messo radici qua come i rampicanti che ancora oggi ne coprono tratti e come simbolicamente la fontana dello scultore Pietro Lombardi nei pressi del civico 53 ne cristallizza la storia nel travertino.