Le fonti di energia rinnovabili, secondo la normativa europea e italiana di riferimento, sono il sole, che alimenta il fotovoltaico e il solare termico, il vento, che viene sfruttato con turbine e pale eoliche, le risorse idriche e geotermiche, che producono energia con le centrali idroelettriche e gli impianti geotermici, le maree, il moto delle onde e le biomasse, ossia la trasformazione di prodotti vegetali o dei rifiuti inorganici e organici in energia elettrica, infine l’idrogeno, la fonte di energia rinnovabile che potrebbe contribuire a portare il mondo a zero emissioni in un tempo relativamente breve.

Mauro Tandoi, Veduta aerea di coltivazioni di biomasse (a sinistra), e di grano (a destra), Unsplash

Agli obiettivi strategici delle energie rinnovabili in economia, riduzione della dipendenza energetica e contrasto ai cambiamenti climatici, in agricoltura si aggiungono altre motivazioni, dalla multifunzionalità e sostenibilità del modello di sviluppo all’opportunità di integrazione del reddito e alla diversificazione delle attività «verdi».

Si tratta di una scelta di fondo dell’Unione Europea, presente in altrettanti documenti strategici da almeno due decenni, dai Consigli di Helsinki del 1999 e di Göteborg del 2001 alle ultime riforme della PAC. Le agroenergie come motore per la sostenibilità del modello produttivo europeo e per la multifunzionalità dell’agricoltura hanno spinto UE e Stati nazionali a promuovere e approvare una normativa di forte incentivazione delle energie rinnovabili.

A vent’anni di distanza l’annuale rapporto GSE di monitoraggio dei target nazionali e regionali delle Fonti rinnovabili indica che con il 18,2% dei consumi finali lordi di energia l’Italia supera per il sesto anno consecutivo il target UE, con diverse regioni che vantano dati eclatanti (Val d’Aosta 91%, Bolzano 63,7%, Trento 43,1%, Basilicata 49,5%). Un quadro positivo che permette di anticipare il dato statistico che la maggior parte delle regioni italiane abbia superato gli obiettivi previsti nel 2020.

L’agricoltura ha un ruolo centrale, apportando un contributo importante per la transizione energetica con il fotovoltaico ma soprattutto con l’agrovoltaico, basato su tensostrutture che montano pannelli fotovoltaici consentendo l’utilizzo dei terreni sottostanti, con la produzione di biomasse da scarti agricoli, ma anche in prospettiva con la cattura di CO2, tecnologie che hanno già trovato o sono di prossima applicazione.

Nella transizione dell’Unione Europea verso l’energia pulita con i piani integrati per l’energia e il clima (2020) l’Italia, nonostante gli obiettivi raggiunti, non è ai primi posti in Europa in termini sia di tempistica sia di ricerca, innovazione e competitività sia infine di cooperazione regionale con gli altri Stati europei. Solo per fare un esempio, per quanto riguarda l’agrovoltaico siamo ancora in fase sperimentale, con alcuni impianti realizzati in Lombardia, Emilia Romagna e nel Sud Italia. Ancora una volta un Paese in ritardo, essenzialmente per l’assenza di una normativa e di incentivi-volano per gli investimenti.

Alcune di queste fonti energetiche presentano inoltre problemi paragonabili almeno ai benefici che se ne potrebbero ricavare e proprio da un punto di vista sia economico sia ambientale.

Silas Baisch, Oceano, Unsplash

Foto e agrovoltaico dipendono ovviamente dalle condizioni meteorologiche, inoltre i terreni necessari per le installazioni, per arrivare a coprire nel 2030 il 150% in più dei GW oggi prodotti (quindi da 20,9 a 32 GW), vanno individuati nelle coperture degli edifici e nelle aree incolte e con la necessaria esposizione, lasciando intatta la capacità produttiva agricola, limite che potrà essere superato con lo sviluppo dell’agrovoltaico. L’eolico dipende anch’esso dalle condizioni meteorologiche, mentre l’impatto ambientale sul paesaggio è elevato. Gli impianti geotermici, che richiedono indagini in profondità per individuare i giacimenti, hanno costi di realizzazione elevati. Su larga scala, l’uso di terreni agricoli per estese coltivazioni dedicate alla produzione di biomassa può sortire l’effetto di sottrarre terreno all’agricoltura e quindi alle produzioni di valore alimentare. Al contempo, la combustione delle biomasse è fortemente inquinante e il loro eventuale uso massiccio (per es., ahinoi, con il disboscamento) ridurrebbe la capacità delle foreste di catturare CO2. L’idrogeno non è in realtà una fonte ma un vettore di energia, questo significa che deve essere prodotto da altre fonti energetiche, quindi la tecnologia di estrazione può essere inquinante se prodotto da fonti fossili (idrogeno grigio o blu) o nucleari (idrogeno viola), ma pulita se viene estratto dall’acqua, sfruttando l’elettricità prodotta da impianti a energia solare, eolica o altre fonti rinnovabili (idrogeno verde).

Nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR #NextGenerationItalia), elaborato dal nostro Paese in parallelo agli altri partners europei e finanziato dall’UE, progetto di rilancio dell’economia italiana varato come risposta alla crisi economica causata dalla pandemia, all’agricoltura sono stati destinati 6,8 miliardi di euro, ai quali andranno sommati fondi provenienti da progetti trasversali (ad esempio lo sviluppo delle telecomunicazioni nelle aree rurali). Il piano si articola su tre pilastri, economia circolare e agricoltura sostenibile, contratti di filiera e di distretto e tutela del territorio e della risorsa idrica con l’obiettivo di rafforzare il settore agricolo, rendendolo più competitivo, resiliente (capace di adattarsi ai cambiamenti climatici) e sostenibile.

Immagine di apertura: Nuno Marques, Pannelli fotovoltaici, Unsplash