Tutti ricordiamo Adolfo Celi, attore, regista e uomo di teatro. La sua notorietà e il suo talento, noti in Italia hanno poi superato i nostri confini diventando un’icona internazionale. Da Agente 007 Thunderball a Amici miei, da Sandokan a Febbre di cavallo, solo per citarne alcuni della sua enorme cinematografia.

Ma non tutti sanno che visse e lavorò 15 anni in Brasile prima al teatro TBC di San Paolo, poi fondando, con la moglie Tonia Carrero e Paulo Autran, il Teatro Brasileiro de Comédia di San Paolo e la compagnia di prosa “Carrero-Celi-Autran”; agli inizi degli anni ‘Cinquanta la produzione cinematografica Vera Cruz affidò inoltre a Celi la regia dei film Caiçara (1950) e Tico-Tico no Fubá (1952).

Celi è considerato tuttora uno dei più importanti registi del Brasile: a lui si deve infatti la definizione di nuovi canoni di sperimentazione teatrale, cinematografica e televisiva.

L’avventura brasiliana è raccontata con dovizia di particolari nel documentario Adolfo Celi – Un uomo per due culture – girato dal figlio Leonardo. È una miniera di informazioni che fa luce non soltanto sulla carriera di Celi ma anche su un’intera stagione di cineasti italiani in Brasile. Ne ricordiamo due che di lì a pochi anni avrebbero dato il loro personale contributo anche al nostro cinema: Fabio Carpi, che nel ’53 scriveva Sinha Moça (Leone di Bronzo alla Mostra di Venezia) e Luciano Salce, autore di Floradas na Serra. Due ragazzi tornati dal Brasile, proprio come Adolfo Celi.

La Lazar, sua ultima moglie e madre dei suoi due figli Alessandra e Leonardo, lo racconta benissimo in una intervista di Alberto Riva su Repubblica: «A Leonardo venne a mancare il padre nel momento più delicato, ha sofferto molto, e il documentario che ha realizzato nel 2006 (Adolfo Celi, un uomo per due culture) è finalmente l’elaborazione del lutto».

Il suo ultimo film da regista. L’alibi, l’aveva girato nel ’68 insieme a Vittorio Gassman e a Luciano Lucignani: una specie di amaro bilancio autobiografico, diviso tra il Brasile e l’Italia, quasi una metafora della sua vita. «Quando andò a girare le scene brasiliane del film portò anche me. Andammo a Rio e poi a Brasilia. Lui si emozionava, il Brasile era il “suo” Paese, e rimase colpito dai cambiamenti che c’erano stati nel frattempo: ne soffriva. Il ’68 fu l’anno più duro della dittatura militare… Credo che in Brasile lui avesse ritrovato la Sicilia. Ho un ricordo preciso. Quando eravamo a Copacabana, vide il cesto di frutta che l’hotel ci aveva preparato. Sa, uno di quei cesti enormi, coloratissimi. Beh, iniziò a gloriarsene come se l’avesse fatto lui».

Una esperienza importante e fondamentale fu quella di Vera Cruz.

La Film Company Vera Cruz è stato un importante studio cinematografico brasiliano che ha prodotto e distribuito film tra il 1949 e il 1954. Fondata a São Bernardo do Campo dal produttore italiano Franco Zampari e dall’industriale Francisco Matarazzo Sobrinho, il 4 novembre 1949, dopo aver prodotto più di quaranta lungometraggi.

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Tornato al teatro negli anni ‘Ottanta, venne ricoverato per infarto la sera della rappresentazione teatrale dei Misteri di Pietroburgo di Dostoevskij al Teatro di Siena. Vittorio Gassman, suo grande amico, prese il suo posto sul palcoscenico. Il 19 febbraio 1986 Celi morì per un arresto cardiocircolatorio. La morte lo colse precisamente 40 anni dopo quella di suo padre, avvenuta il 19 febbraio 1946. Sepolto al cimitero monumentale di Messina, nella zona nord di Roma gli è stata intitolata una via.

Noi abbiamo avuto il piacere e l’onore di avere qui, a Italian Film Fest di San Paolo, Leonardo Celi con il suo bellissimo documentario, un atto di amore verso il padre in un paese da lui amato e che lo ama ancora oggi.