In una intervista  del 13 dicembre Alberto Clò ex Ministro italiano dell’Industria e tra i massimi esperti di energia d’Europa mi aveva detto che gli organismi europei avrebbero dovuto vigilare meglio sul mercato dell’energia. Non solo per il  gas e il  nucleare, evidentemente. Non averlo fatto è stato un fatto grave, con le conseguenze sotto gli occhi di tutti. Clo’ ha ragione. La realtà è che da diversi mesi l’Europa politica combatte  tra crisi e transizione. Ha scelto di affondare da sola ? Crisi e transizione sono le parole che danno la cifra della difficoltà di fare sintesi su questioni cruciali del nostro tempo. L’energia, si sa, è il motore del progresso. Nel 1951 dopo i disastri della guerra fu creata la  Comunità europea del carbone e dell’acciaio (CECA). Fu il primo passo per costruire un Europa unita, a partire da due necessità imprescindibili per la ricostruzione post bellica. Gli Stati, poi, si sono evoluti e il vecchio Continente- che si è sempre misurato con il progresso e le trasformazioni- si trova oggi davanti ad altre scelte epocali. Ma rischia.
Nei decenni le fonti di energia a disposizione si sono moltiplicate senza una visione unitaria, purtroppo. Dal gas all’idroelettrico, al carbone, al nucleare, al solare, all’eolico, alla geotermia. Man mano che l’Europa ampliava i confini geografici, crescevano le differenze e le strategie energetiche per sostenere lo sviluppo, l’industria, i consumi, i redditi, i posti di lavoro. Emergevano anche le prime questioni ambientali e i rischi per la salute legati all’uso delle singole fonti. E’ stato solo negli anni ’90 che nei Paesi dell’Ue (ma anche fuori dall’Europa)  l’ecologia e l’ambientalismo hanno fatto breccia nella coscienza collettiva. Un sentiment benefico per allontanare pericoli  e paure di ogni tipo. I vertici internazionali hanno cosi’ cominciato a porre le questioni ambientali e del clima  dentro le loro agende. Spesso hanno fallito. Solo recentemente l’Europa è arrivata alla svolta con la determinazione di cambiare modello di sviluppo, ma anche con una buona dose di confusione. Abbiamo, pero’, capito che non è facile riorganizzare un modello socio-economico disomogeneo dove ciascuno difende cio’ che ha costruito. In fin dei conti la disputa di queste settimane fra gas, nucleare, rinnovabili,  rivela una profonda diversità di vedute rispetto all’altisonante voce della transizione ecologica.  Sia chiaro che non è in discussione  il cammino verso le energie rinnovabili come motore del “new, new, deal”. 2030, 2050 sono gli anni stabiliti dall’Unione europea per la fine di quel cammino. Ma davvero siamo convinti che quelle  date sono scolpite nella pietra ? Qualche dubbio ci deve venire davanti alle palesi divisioni dentro l’Unione . Ma anche perché le tecnologie e la ricerca necessarie a quel  fine hanno un passo più lento di quel che necessita. E bisogna ammetterlo, senza ipocrisie e retorica.

Rider, Una seduta del Parlamento europeo

Il conflitto tra crisi e transizione è reale. Il disegno per uno  sviluppo sostenibile, anche come modello di aggregazione sociale, economica, etica, si scontra con il pragmatismo politico di destre e sinistre alla guida dei Paesi. Nel caso dell’energia nucleare, per esempio, sono mal celate connotazioni (gabbie?) ideologiche sull’opportunità o meno di usarla. Il Ministro italiano della transizione ecologica, Roberto Cingolani ha parlato di attenzione e interesse per la ricerca e le sperimentazioni in atto in mezzo mondo. Il nucleare vecchio non interessa più a nessuno e  in Italia si deve giusto trovare il deposito per le scorie. Sappiamo che non è facile.   Ma sarebbe sfavorevole e controproducente sotto molti punti di vista, opporsi alla ricerca. Dopo poi si deciderà. Peraltro – a valle di sperimentazioni efficienti e sicure – per costruire un nuovo sito nucleare ci vogliono dai dieci ai venti anni. Sul gas e i gasdotti, poi, andrebbe fatto un “fermo immagine” per riflettere sui miliardi spesi, sugli accordi di molti governi con la Russia e altri Paesi produttori per avere gas, far funzionare le centrali elettriche, le industrie, per mille altri usi. Dovremo abbandonarlo, ma non domani. Un Europa cosi’ tormentata non puo’ presentarsi ad un nuovo appuntamento con la storia. Dobbiamo augurarcelo. Né il confronto-scontro puo’ ridursi ad abusate accuse alle lobby finanziarie (chi è senza peccato…) delle fonti non rinnovabili. Per questo alla fine vincerà il più bravo a guidare una transizione sostenibile senza crisi.