Il 2023 rischia di essere ricordato come l’anno dei record del clima. L’anno durante il quale sulla terra sono accaduti disastri indescrivibili. Diciamo:rischia di essere ricordato, perché nessuno sa cosa accadrà l’anno prossimo e l’altro ancora e poi l’altro. Il pianeta è vittima di  profondi mutamenti e gli sforzi che si fanno per non soccombere sono ancora limitati. Tuttavia bisogna insistere. Milioni di persone hanno paura dei cambiamenti climatici e degli effetti che gradualmente, ma velocemente, irrompono nella vita di tutti i giorni e sulla salute.

Il Ministero della Salute italiano ha accertato che soltanto nel mese di luglio di quest’anno, le ondate di calore hanno causato il 7% in più di morti premature nelle Regioni del Centro Sud. Un dato passato sotto silenzio ma che ci pone davanti la domanda chiave di questi anni: riusciremo davvero a realizzare un nuovo paradigma di sviluppo ?

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«L’era dello sviluppo sostenibile, il tema della crescita globale si salda con la paura. L’idea di uno sviluppo sostenibile trova radici in un modo completamente nuovo di interpretare i cambiamenti climatici, le relazioni tra popoli, tra ricchi e poveri»  ha detto Jeffrey Sachs, esperto di sviluppo sostenibile, docente alla Columbia University e tra i consiglieri più ascoltati di Papa Francesco. Sachs è un democratico autentico, di quelli che interpretano un nuovo modello di sviluppo come riequilibrio tra Paesi ricchi e Paesi poveri. Ha una giusta visione di ciò che bisogna fare. La capacità delle classi dirigenti su questi temi si misura, ormai, sulle effettive azioni per bloccare il climatechange. Le Conferenze  internazionali producono documenti puntualmente inapplicati, al punto che il segretario generale dell’Onu Antonio Guterres dice che la “terra è passata dal riscaldamento ad un’era di ebollizione globale”.

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Il risveglio di tante coscienze ambientaliste per una società meno squilibrata su fonti di energia, ricchezza, agricoltura, acqua, deve mettere in conto anche la negazione di eventi climatici così disastrosi e straordinari. Non meriterebbero rilievo i negazionisti che, purtroppo, trovano spazio in ambienti ed ambiti irrazionali e antiscientifici.
I cambiamenti del clima da loro vissuti come elemento costante della storia e non fatto inedito, ha un doppio significato. Il primo riguarda una sorta di “astensione volontaria” dall’osservazione scientifica. Restare aggrappati a tradizioni e credenze non richiede alcuna curiosità. Si è soddisfatti per assioma; confrontarsi o ascoltare è tempo perso. Il secondo significato- molto più infido- scaturisce dalla malavoglia di affrontare il tema per governarlo. Appartengono a questa categoria coloro che hanno una spiccata propensione a non modificare gli assetti socio-economici tout court. Restano immobili nelle loro posizioni di potere. Tendono a conservarle perché diversamente dovrebbero dialogare, mostrare meno sicumera, investire danaro, programmare un futuro meno garantito su tutto ciò che riguarda il clima.
Accettare la scienza e la ricerca nella storia dell’umanità è stato spesso una sofferenza. Per secoli sono state apprezzate le stregonerie e le profezie piuttosto che i calcoli e le dimostrazioni . Ora che milioni di persone hanno preso coscienza dei mali che affliggono il pianeta sul quale vivono- viviamo- e si adoperano per salvarlo gli tocca combattere contro temibili idee, esposte sui mass media e nei talk televisivi, ma che riporterebbero l’umanità a prima dell’Homo sapiens. Per questo sono destinati a parlarsi allo specchio.