Il 16 marzo il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa (a termini dello Statuto l’organo esecutivo di vertice del Consiglio) ha deciso che la Federazione russa non fa più parte del Consiglio d’Europa e, avvalendosi della facoltà attribuitagli dall’articolo 8 dello Statuto, ha fatto decorrere immediatamente gli effetti della sua decisione.

I fatti si sono svolti in verità in maniera piuttosto convulsa.

Il 25 febbraio, il Comitato dei Ministri aveva promosso la procedura prevista dall’articolo 8 dello Statuto sospendendo la Russia dalla sua qualità di membro del Consiglio, a motivo dell’aggressione armata nei confronti dell’Ucraina. A termini dell’Articolo 8, infatti, «Ogni Membro del Consiglio d’Europa che contravvenga alle disposizioni dell’articolo 3, può essere sospeso dal diritto di rappresentanza e invitato dal Comitato dei Ministri a recedere nelle condizioni di cui all’articolo 7. Il Comitato può risolvere che il Membro, il quale non ottemperi a tale invito, cessi d’appartenere al Consiglio dal giorno stabilito dal Comitato stesso».

L’Articolo 3 prevede che ogni Stato membro «si obbliga a collaborare sinceramente e operosamente al perseguimento dello scopo definito nel capo I» scopo che è appunto enunciato con queste parole:

«Il Consiglio d’Europa ha lo scopo d’attuare un’unione più stretta fra i Membri per tutelare e promuovere gli ideali e i principi che sono loro comune patrimonio e per favorire il loro progresso economico e sociale».

Era ovvio che la Federazione Russa non poteva più restare all’interno del Consiglio, anche se lo Statuto non prevede una procedura di espulsione.

Peraltro, anticipando le mosse dell’organizzazione, che in quella stessa data aveva convocato una sessione straordinaria della propria Assemblea Parlamentare per discutere proprio della procedura, il 15 marzo la Russia informava la Segretaria Generale del Consiglio Marija Pejčinović Burić (che aveva peraltro fermamente condannato l’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina) non solo della propria volontà di abbandonare il Consiglio, ma anche la Convenzione europea dei diritti dell’uomo che, come si sa, rappresenta il fiore all’occhiello del Consiglio d’Europa. Il giorno dopo, come riferivamo in apertura di questa nota, arrivava la risoluzione del Comitato dei Ministri. Mossa per molti versi inevitabile. Ma che apre adesso un fronte problematico tanto vasto quanto complesso.

Ci si può, ad esempio, interrogare su cosa ne sarà delle misure provvisorie disposte dalla Corte europea ai sensi dell’articolo 39 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo nei confronti della Russia su richiesta dell’Ucraina. E dei tanti ricorsi individuali che cittadini ucraini hanno presentato contro la Russia.

Con un comunicato, emesso sempre il 16 marzo, la Corte ha dichiarato che a seguito della risoluzione del Comitato dei Ministri, ha sospeso l’esame dei ricorsi pendenti contro la Russia, in considerazione degli effetti che la risoluzione del Comitato avrà sul lavoro della Corte.

Perché, a parte il fatto che la Convenzione non vincola più la Russia (circostanza superabile dato che quando i ricorsi furono presentati la Russia ne faceva ancora parte), la Corte non potrebbe operare nella composizione prevista dalle sue norme regolamentari che deve sempre comprendere il giudice eletto per la Parte interessata dal ricorso quando la Corte siede come Camera o Grande Camera (le due formazioni più importanti), giudice che dovrebbe cessare dalle funzioni in seguito al recesso della Russia dalla Convenzione. A meno che la Russia non volesse nominare un giudice ad hoc, cosa che al momento appare assai improbabile, per consentire ai procedimenti di fare il loro corso.

La Corte non potrebbe dunque intervenire in nessuna procedura relativa all’azione della Russia, men che meno per quelle relative ai fatti gravissimi di questi giorni.

Per non parlare poi delle difficoltà di esecuzione delle tante sentenze già rese.

Dunque tanti e gravi problemi si affacciano, ma sentiamo di non potere andare oltre quanto detto fin qui e, a questo punto, vorremmo chiudere questa nostra nota con un accento di ottimismo, come facciamo sempre. Questa volta, però, non possiamo che chiudere con l’auspicio che prevalga la ragionevolezza, anche se francamente al momento ciò appare improbabile.