L’intruglio fatto di illegalità e politica è ancora e sempre spalmato lungo l’intero Stivale. A dimostrazione di quanto la questione etica rimanga una delle grandi emergenze italiane

E così alla fine ci è toccato pure Pino il Lombetto.

A sentirlo appellare in cotal guisa si potrebbe pensarlo, Pino il Lombetto, come un affiliato di U Supremu, il nipote di Lallo lo Zoppo o il cugino di Jenny ‘a Carogna. Macchè: Pino il Lombetto, al secolo Giuseppe Ranucci, è nientemeno che un ex assessore ai Lavori pubblici. Il quale, insieme a una nutritissima compagnia di altri assessori e sindaci variamente operanti sul litorale romano, è coinvolto nell’ultima vicenda, in ordine di tempo, di malaffare italico. Solo coinvolto, sarà bene precisarlo: non indagato. Quindi, dal punto di vista penale non c’è alcunché di cui sia chiamato a rispondere.

Se viene da parlarne è perché il diavolo si nasconde nei particolari. E dunque fa colore e suona farsesco, quasi che di questa nostra patetica commedia all’italiana non si debba mai vedere l’ultimo atto, che il nickname di un presunto servitore dello stato suoni tanto simile a quello di un qualsiasi bullo o malavitoso. Per il resto, l’inchiesta portata avanti dagli inquirenti tra Anzio e Nettuno scoperchia solo l’ennesimo vermicaio. Ad inquietare, ma solo un pochino, potrebbe essere tutt’al più che in quel guazzabuglio di appalti e corruzioni, di carichi di coca e scambi di voti rivelato dalle intercettazioni, si faccia fatica a distinguere il politico dall’intrallazzatore, a riconoscere chi fa la parte del corrotto e chi quella del corruttore.

Ma tutto suona comunque come già visto e rivisto. E dunque non sorprende più. Siamo talmente mitridatizzati che, davanti all’ennesima conferma di quale intruglio di illegalità e politica sia ancora e sempre spalmato l’intero Stivale, si fatica a trovare della residua indignazione da spendere. Perché la verità è che in Italia così fan tutti. Tanto da rendere il problema etico, qualora ci venisse l’uzzolo di porcelo, una delle grandi emergenze nazionali al pari del debito pubblico, della burocrazia e del ritardo scientifico.

Si fa presto a dire, quando esce fuori uno scandalo in qualche altro posto d’Europa, che tutto il mondo è paese. E dunque che da noi succede come dappertutto. Semplicemente, non è vero: quello che altrove è quasi sempre un caso isolato, in Italia risulta essere un male endemico. Che si è fatto nel tempo dato culturale e prassi abituale perché non ha mai smesso di trovare terreno fertile: a livello di pensiero comune e di mentalità corrente.

Ciò che colpisce infatti è la pervasività, lungo tutta la scala sociale, di un modo di pensare e di essere che da sempre ridicolizza il rispetto della legge e la correttezza comportamentale. Fino ad arrivare a invertire l’ordine dei fattori. Tanto per dirne una: di recente un luminare toscano della medicina, nonché professore universitario, si è pubblicamente detto ferito del fango che, a suo dire, gli sarebbe stato gettato addosso, riscuotendo l’immediata solidarietà di molti suoi colleghi. Che era accaduto? Tutte cose nella norma, in effetti: il professore era stato colto a fare il bello e il cattivo tempo con dei posti in ospedale che, in combutta con altri baroni accademici, aveva assegnato a chi voleva lui. La sua protesta nasceva dal fatto di essere non solo ignaro di stare a infrangere delle norme, ma addirittura convinto, perché quando si perde il confine tra lecito e illecito il senso comune può facilmente capovolgersi, che fosse suo pieno diritto disporre a piacimento di quei posti.

L’imperante sentimento amorale vorrebbe far credere che l’onestà sia materia da sfaccendati filosofi o tutt’al più tematica teologica da lasciare al Papa. In realtà, quando il disinteresse per i valori che contraddistinguono una società civile arriva a caratterizzare un’intera nazione, diventa problema politico. Come ben comprese il segretario del PCI, Enrico Berlinguer, che la “questione morale” provò a metterla al centro del dibattito già 40 anni fa (a dimostrazione di come il tema sia annoso). Provò Berlinguer ma, sebbene fosse il capo indiscusso e carismatico di un grande partito, non gli riuscì. Liquidata come una sorta di balzana boutade dagli altri partiti, con la complicità dell’intellighenzia italiana e pure di qualcuno dei suoi, la faccenda tenne banco per poco: il tempo di rimproverare più o meno velatamente Berlinguer di essere un noioso moralista e tutto si esaurì lì.

Così com’è finita subito tra le eccentricità (non senza che l’autore venisse prima coperto di contumelie) una battuta di Padoa Schioppa. Il quale, quando era ministro dell’economia, ebbe l’ardore di dire una cosa che sarebbe sembrata ovvia nel resto dell’Occidente: e cioè che le tasse sono bellissime. Non in quanto tali, naturalmente, ma perché pagarle è un modo civile di contribuire a beni indispensabili quali salute, istruzione, ambiente. Aveva sottovalutato, il candido Padoa Schioppa, ciò che hanno da sempre ben chiaro i nostri politici più navigati: in Italia chi tocca le tasse, nel senso che vorrebbe farle finalmente pagare a tutti e in modo equo, muore.

Del resto, uno che ha capito presto come funziona la peristalsi della pancia degli italiani, oltre a dare lui per primo il buon esempio, l’ha sostenuto a più riprese: l’evasione fiscale, lungi dall’essere una pratica fraudolenta, è pratica legittima e cosa da furbi. A proposito del suddetto signore: sarà mica un caso, vero, che lo abbiamo messo per venti anni al centro della scena politica? Se non fossimo i cittadini di un paese cialtrone, indifferente alla disonestà quando non ne è fatalmente attratto, avremmo forse subito il fascino di un losco figuro che ha intrattenuto rapporti, ambigui a voler essere buoni, con la mafia? Che negli anni è stato indagato e in qualche caso condannato per reati gravissimi quali la corruzione dei giudici e la frode fiscale? Che ha potuto proporre la sua candidatura a presidente della repubblica nell’indifferenza generale, senza che ci fosse un sollevamento popolare e relativa discesa in piazza di milioni di persone?

Insomma, c’è poco da scandalizzarsi (ammesso che qualcuno ne sia ancora capace): piaccia o non piaccia, Pino il Lombetto è uno di noi.

Renato Ciccarelli