Pubblichiamo un pezzo di Agostino Migone De Amicis sulla sperimentazione clinica dei medicinali. L’articolo è già uscito nella newsletter della Fondazione Roche.

 Riflessioni disincantate sulla sperimentazione clinica in Italia nel nuovo contesto europeo

Ogni punto d’arrivo, si sa, è anche, e soprattutto, un punto di partenza: il titolo di un film del 1959 – l’originale inglese era It’s all right, Jack – evoca efficacemente (in ambo le lingue, duole dirlo) la condizione con cui affrontiamo un cambio di passo epocale nella sperimentazione clinica di medicinali (e dispositivi!). Da un complesso di leggi nazionali armonizzate dalla Direttiva 2001/20 si è infatti passati ad un sistema unico, regolato a livello europeo ed operante in regime di totale integrazione e (ben più) aperta concorrenza – è appena il caso di segnalare che analogo cambio di passo si è verificato lo scorso anno nel campo dei dispositivi medici, ma molti paiono non essersene accorti.

Foto di CDC da Unsplash

Dal 31 gennaio 2022 è in applicazione, a quasi otto anni dalla sua entrata in vigore (e quasi sei oltre le previsioni iniziali), il Regolamento (UE) 536/2014: come sistema-Paese ci siamo mossi tardi e male, approvando una buona legge (3/2018), per la cui attuazione (eravamo già in articulo mortis della XVII Legislatura) si è dovuto ricorrere ad un “ampio ventaglio” di norme primarie e secondarie da adottare. A tutt’oggi si sono visti, come noto, un decreto legislativo (52/2019, non privo di errori), un decreto ministeriale (30 novembre 2021, in vigore dal 7 marzo 2022) sulla sperimentazione not-for-profit e a basso livello d’intervento-osservazionale, nonché una bozza di DM (trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni per la necessaria “intesa” il 31 gennaio scorso) sulla riduzione e riorganizzazione dei Comitati etici: per il resto, un articolato gioco di rinvii non riesce a nascondere la mancanza a tutt’oggi di una buona ventina di provvedimenti a vari livelli.

Non è il caso di piangere sul latte versato: si deve se mai fissare l’attenzione su cosa si può fare qui e d’ora (in poi) per accelerare il percorso regolatorio nazionale, sapendo che si tratta di una (rin)corsa in salita per non restare completamente tagliati fuori dal circuito operativo e scientifico della sperimentazione in Europa (che “cuba” parecchi milioni di euro l’anno a beneficio di un sistema sanitario nazionale come il nostro). Può piacere o meno, ma oggi in prima battuta è il promotore a decidere dove localizzare la sperimentazione, individuando lo Stato membro relatore per l’istanza: quanto più frammentaria, incerta e/o irta di ostacoli burocratici resterà la via su cui essa procederà, tante meno sperimentazioni prenderanno la via dell’Italia.

Con l’obiettivo primario di aumentare l’attrattiva del nostro Paese come sede di sperimentazioni, sul piano normativo salta subito all’occhio la mancanza (e l’urgenza) del decreto per la fase transitoria, incentrato sui profili “oggettivi” di essa (l’esperienza VHP e degli studi Covid-19 potrebbe stimolare utili riflessioni al riguardo):

  • va definito il discrimen fra “nuove” sperimentazioni cliniche disciplinate dal Regolamento (poche, molto snelle e internazionali: la struttura disegnata dalla legge 3/2018 appare quasi pletorica a tal fine) e “massa” di studi di altre tipologie che già oggi occupano largamente le agende dei “vecchi” Comitati etici;
  • quanto a questi ultimi, la bozza di DM sopra ricordata ne fa menzione negli ultimi due commi dell’art. 1, quasi come di un ruolo ad esaurimento rispetto a “compiti” e “funzioni” che non vengono però meglio definiti;
  • vogliamo parlare degli studi su/con dispositivi, in particolare di quelli che arriveranno come Post-Marketing Clinical Follow-up e richiederanno verosimilmente un coinvolgimento del Comitato etico (qui abbiamo purtroppo anche lo handicap di due autorità regolatorie diverse)?
  • pari attenzione ed urgenza vanno poste su altre misure come la tariffa unica per la valutazione dei protocolli: perduta l’illusione che se ne potesse anche fare a meno, recuperandone altrimenti il costo (cosa che altrove ha visto aumentare, logicamente, il numero di sperimentazioni), questa tessera del mosaico pare cruciale.

Sarebbe troppo facile (ed ingiusto), però, limitarsi a fare l’elenco delle mancanze, vere o presunte, del “legislatore”: ad uno sguardo attento emerge la necessità di uno sforzo comune di tutti gli stakeholder, per quanto sta in ciascuno, per rendere snello e trasparente il procedimento: sforzo che dev’essere creativo ed essenziale perché “con l’arte di mezzo e col cervello – dato all’arte, l’ubbìe si buttan là”.

Foto CDC da Unsplash

Abbiamo bisogno di scrollarci di dosso una mentalità (ed un’immagine che, come Paese, ci portiamo appresso) da piccolo/medi burocrati, incapaci di uscire con un minimo di coraggio dalla nostra comfort zone fatta di quieto vivere e di consolidata (in)competenza, per affrontare il contesto sempre nuovo in cui l’avanzamento sempre più rapido ed internazionale delle conoscenze ci porta. Non ci faranno colmare il distacco né pretendere di regolarlo con rigidi “templati” locali (più o meno incrostati dal tempo e da superfetazioni, di fatto miranti a frapporre “paletti” all’uscita dalle comfort zones di cui sopra, in perfetto “stile UCAS” soggettivo e oggettivo: vissuti così, sono vere e proprie “regole per imbecilli”, obsoleti dal day 2), né cercare di intrappolarlo con ragionamenti astratti ed aprioristici come quello tuttora largamente corrente  sul “conflitto d’interessi” (la Fondazione che ci ospita vi ha dedicato approfondite discussioni, di cui le andiamo grati, ma che all’esterno non vengono meditate come meritano).

Per rapportarsi agli sponsor più importanti, tanto più quanto più grandi essi sono, e chiedere loro di “giocare il gioco” su un piano di parità (nella distinzione di ruoli ed in modo chiaro e trasparente, come tutti) occorre avere curiosità ed apertura mentale per conoscere realtà diverse, coraggio di confrontarsi senza essere “forti con i deboli e deboli con i forti”, coscienza delle proprie competenze – che ci sono e devono essere adoperate fattivamente – ma anche dei nostri limiti, che vanno superati. Nelle pieghe delle norme, nei dettagli di procedure applicate in modo tralatizio senza controlli intelligenti, spesso in modo formal(istica)mente legittimo, covano disuguaglianze od abusi che possono portare all’annidarsi di mali più gravi.

Nel piccolo, si licet, dell’esperienza interdisciplinare dei Comitati etici, al tentativo di raccogliere a fattor comune le varie competenze per “individua(re) il contenuto minimo del contratto stipulato con il centro clinico coinvolto nella sperimentazione”, mettendo assieme uno standard minimo (schemi-tipo di contratto, in italiano ed in inglese, e testi italiani di modulistica europea elaborata sulla base del nuovo Regolamento), si sono visti levate di scudi in senso banalmente corporativo e domande di chiarimento tanto numerose quanto attente a singoli dettagli puntuali, irrilevanti in una visione prospettica d’insieme: colpisce in esse la preoccupazione di perdere il controllo su “orticelli” propri o prossimali – da Avvocato, quando vedo scrivere che il pericolo è rappresentato dall’apertura a leggi regolatrici diverse dall’italiana od a fori competenti unici, diversi da quello del centro singolo (magari pure marginale) mi vien da pensare: nel XXI secolo, in Europa, con sponsor per lo più stranieri e studi estesi a decine di Stati e centinaia di centri, su protocolli unici e prassi ormai omogenee … ma mi faccia(no) il piacere!

 Agostino Migone De Amicis