Il carcere di Regina Coeli (Casa circondariale di Roma Regina Coeli) è il principale e più noto carcere di Roma ed è, amministrativamente, la sua casa circondariale. Situato nel rione Trastevere, via della Lungara 29, sorge anche sulla fondamenta di un complesso edilizio risalente al 1654, già sede di convento e trasformato nel suo odierno utilizzo nel 1881. Deriva il suo nome dalla struttura religiosa, dedicata a Maria, “Regina Coeli”. Per tutti i romani è “er coeli”, senza dittongo, si dice come si legge. Ma a Roma si chiama anche bottega o gabbio…”ahò tu fratello sta a bottega?”

Finestre a bocca di lupo al piano più alto-CC BY-SA 3.0

L’edificio ebbe varie traversie, legate alla storia, anche del papato, oltre che delle famiglie nobiliari. Iniziato a costruire nel 1642, visse le lotte dinastiche e della elezione di vari Papi, legati alle famiglie Colonna e Barberini, la proprietà passò di mano in varie occasioni. Era un convento delle suore carmelitane della Congregazione di Sant’Elia. Verso la fine dell’Ottocento divenne anche carcere femminile, noto come Carcere delle Mantellate, prendendo il nome dal lungo mantello che indossavano le suore. Va ricordato che da qui transitarono oppositori politici antifascisti e che purtroppo, a seguito dell’attentato di Via Rasella contro le forze di occupazione, il 24 marzo 1944 fu prelevata la maggior parte delle donne e degli uomini uccisi nell’eccidio delle Fosse Ardeatine. Come spesso succede, riadattando antichi edifici, destinati sì a conventi, ma poi divenute carceri, dai 750 detenuti come capienza stimata, spesso in tutti questi anni, si è superato il numero, con ovvi problemi e degrado della condizione umana.

Alvaro Amici – Pubblico dominio, da commons.wikimedia.org

E allora cominciamo, nella più vera tradizione popolare delle stornellate romane, con la voce di Alvaro Amici (Roma, 1936 – 2003), cantautore e attore italiano, autore e interprete di stornelli, a sentire come lo vivono i reclusi, con alcune strofe di “Gira e fai la rota”, probabilmente di autore anonimo, nata quasi sicuramente dalle voci del carcere, cantata nel 1970:

 

Quando ar mattino Roma s’e’ svejata

pare ‘n pavone quando fa la rota,

sembra na pennellata fatta d’arcobaleno,

pure si piove, pare ch’e’ sereno.

Amore, amore, manname ‘na pagnotta

che er vitto der Coeli nun m’abbasta

Che er vitto der Coeli nun m’abbasta

Se nun te sbrighi me ce trovi l’ossa.

E gira e fai la rota

Qui dentro rinserato

Si nun me viè’ l’aiuto

Rimano senza fiato.

“Er parlatorio” dal Gianicolo -Foto da commons.wikimedia.org CC BY-SA 3.0

C’è una particolarità da raccontare, ovvero che dalla passeggiata del Gianicolo, panoramico colle prospiciente il carcere, che sovrasta la struttura stessa di qualche metro, è possibile in qualche modo “parlare” con i carcerati. Come da un balcone, dista qualche decina di metri dalle celle d’angolo, pur con la rigidità dei regolamenti carcerari, era consuetudine, fino agli anni sessanta, che i familiari dei detenuti si riunissero per comunicare con loro gridando. Spesso delle novità, talvolta belle e anche brutte, che poi “radio carcere”, di bocca in bocca faceva arrivare al destinatario. Per una sorta di comprensione della situazione era invalso l’uso di permettere, da parte delle guardie carcerarie e di non intervenire, purchè fossero notizie di famiglia e di urgenza. Spesso persone con voce e tonalità potente venivano assoldate per questa funzione. Un tardo pomeriggio, avrò avuto dieci anni, mio padre, Maresciallo capo dei Carabinieri, mi portò lì, abitavamo a Trastevere dove sono nato. E a un certo punto, tra grida del tipo “Ahò, questa è pe’ Mario, tè nato un ber pupetto!”, mi arrivò uno schiaffo sulla nuca e un gesto a indicare il carcere. Voleva farmi intendere di comportarmi bene e vivere onestamente, altrimenti quello era il luogo. Ce ne sarebbero da raccontare, la stornellata è molto lunga, anche in versioni differenti, ma sentiamo:

Drento Reggina Cèli c’è ‘no scalino

Chi nun salisce quello nun è romano

Chi nun salisce quello nun è romano

Nun è romano, né tresteverino.

E gira e fai la rota

La rota e la rotella

Davanti a Reggina Cèli

Cianno messo la sentinella

Per entrare nell’edificio di Regina Coeli bisogna salire tre scalini: sono quelli che, secondo la tradizione, fanno sentire profondamente romano, e soprattutto trasteverino, soltanto chi li ha saliti.

E allora continuiamo con una invocazione di una donna:

E lo mio amore sta a Reggina Cèli

Portateje da pranzo borzaroli

Portateje da pranzo borzaroli

Che quanno sorte lui lo porta a voi.

E gira e fai la rota

La rota der 31

Quanno stai carcerato

Nun te cerca più gnisuno

Nota dell’autore…io ce sò passato davanti ar coeli, ma nun ce sò mai entrato, ma sò trasteverino.

 

Foto di apertura di Carlo Dani – Opera propria, CC BY-SA 4