Ho lavorato con Irina e l’ho ospitata a casa mia quando è venuta in Italia. Allora era una ragazza piena di entusiasmo e speranza. Oggi il suo viso ci dice tutto di un orrore terribile ed inutile. Con questo articolo spero diventi la nostra corrispondente da questo martoriato paese e sarei felice che tante e tanti nostri amici della rete le manifestassero affetto e solidarietà. Potete scriverle a questa mail, in inglese: irinamedved@ukr.net

Alessandro Erasmo Costa

Purtroppo non un “déjà vu”.

Solita mattinata a Kiev…

10 ottobre 2022, ore 8.20.

Iryna Medved

Stiamo per uscire di casa per accompagnare le nostre figlie a scuola quando sentiamo il rumore di un’esplosione… poi un’altra e subito un’altra…

In un paio d’ore era diventato evidente che Kiev e molte altre città ucraine, erano oggetto di un massiccio attacco missilistico.

«La mattinata è dura. Abbiamo a che fare con dei terroristi. Decine di missili, e droni iraniani. Hanno due obiettivi: distruggere le nostre fonti di energia e diffondere il panico e il caos, e inoltre colpire le persone. Infatti questo tipo di aggressione e di bombardamenti hanno un obiettivo di fare il massimo dei danni possibili alla nostra comunità…» – dirà il presidente Zelenskyy nel suo discorso mattutino al popolo ucraino. Sono in bagno. Mia madre e le mie due figlie sono nella nostra “stanza sicura” (purtroppo non abbiamo un rifugio in casa nostra, quindi abbiamo scelto la più sicura secondo noi e rimaniamo lì durante l’allarme aereo). Faccio un grande sforzo per raccogliere i miei pensieri. Una sensazione di “déjà vu”… come tornare a quell’orribile 24 febbraio – il giorno in cui la vita di milioni di ucraini è cambiata per sempre.

Cerco di lavarmi il più velocemente possibile. Le autorità dicono che sono possibili interruzioni di corrente e di acqua. Un’altra esplosione si sente da qualche parte lontano, ma le vibrazioni della casa si fanno sentire… Penso alla parete di vetro della doccia… E se esplodesse?!

All’improvviso sento un boato dall’esterno… il suono è molto forte e simile forse a quello di un aereo militare …  «Mio Dio!!! Che cosa sarà? Un missile? Un drone?! ……. Cosa posso fare? Andare dalle bambine? No, non ce la faccio… non c’è tempo…. Stendermi sul pavimento? Devo prima lavare via lo shampoo o sdraiarmi con i capelli ancora insaponati?»………..

Foto libera da Pixabay

Tutti questi pensieri mi frullano nel cervello durante “lunghissimi” secondi…

Condivido con voi questi momenti e questi pensieri perché voi lettori di ‘TUTTI  europa ventitrenta’ abbiate una sensazione reale, una vivida immagine di ciò che questa guerra sta facendo alla nostra vita privata. Quanto profondamente penetra nel nostro spazio personale. La nostra vita è violentata! In modo barbaro e crudele. E queste purtroppo non sono soltanto le mie sensazioni, ma quelle di tutto il popolo ucraino, costretto a vivere questi stessi momenti di incertezza e di terrore compresi coloro che, per pura fortuna, non sono stati direttamente colpiti.

Il suono si affievolisce lentamente, finalmente posso fare un respiro profondo e andare ad abbracciare Anna e Maya. Però, passando davanti allo specchio, vedo che il mio viso è completamente ricoperto di macchie rosse…

Quel giorno l’allarme aereo non si è quasi mai fermato in tutta l’Ucraina. Uno dei missili russi ha colpito un incrocio di strade nella parte centrale di Kiev, non lontano dall’Università Shevchenko. Molte persone si stavano recando al lavoro, stavano portando in auto i bambini alle scuole e gli asili. Alcuni di loro sono morti, bruciati nelle auto. Altri stavano attraversando il ponte pedonale nel momento in cui è stato attaccato dai russi nel centro della città. Questo ponte è un ponte decorativo. Lo chiamiamo “il ponte di vetro”.  È stato costruito dal nostro sindaco Klychko non molto tempo fa soprattutto per i turisti della nostra capitale. Un ponte a Kiev, i russi potranno dire che è la vendetta per quello della Crimea. Però, il nostro ponte pedonale di vetro, ha resistito anche lui, molto più di quello della Crimea.

Altri ucraini, altre persone come noi sono state uccise o ferite dai razzi che hanno colpito altre “importanti strutture strategiche”, come case private, condomini, centri commerciali, ecc.

Secondo la Polizia nazionale ucraina, quel giorno in Ucraina sono morte 20 persone e 108 sono rimaste ferite. Sono stati danneggiate: 46 case private, 30 condomini, 101 tra scuole, ospedali e asili.

Zelenskyy ha poi ricordato che finora sono state distrutte più di 2.600 strutture educative e persino un monumento all’Olocausto: questo è il modo di Putin di fare la guerra.

Soltanto la sera, dopo quella terribile giornata, mi sono improvvisamente resa conto che c’è un’enorme differenza tra il 10 ottobre e il 24 febbraio.

Dopo un attacco terroristico così massiccio, le strade di Kiev sono vuote. Nessuna fila di auto lascia la città. Le persone nella metropolitana (usata come rifugio) cantano canzoni ucraine durante l’allarme aereo. Il messaggio principale nei commenti e nei post sui social media è: non abbiamo più paura di niente.

NON ABBIAMO PIÙ PAURA.

Foto libera da Pixabay

Noi ucraini, non soltanto i soldati al fronte, non abbiamo più paura del nemico! Certo, non possiamo non aver paura quando viene minacciata la nostra vita o quella dei nostri cari, ma non temiamo più questo impero del male e della menzogna. In questi 7 mesi gli ucraini hanno visto tutto. E soprattutto abbiamo dovuto conoscere il vero prezzo del “potere e della forza” dell’esercito russo. Abbiamo visto che il più potente esercito del mondo non combatte contro altri soldati, ma contro civili inermi, perché non riesce a prevalere sul campo di battaglia.

Vogliono che abbiamo paura, vogliono che scappiamo. Ma non capiscono che l’Ucraina di oggi è un’altra, diversa da quella del 24 febbraio. Non avranno abbastanza missili per intimidirci.

Voglio ringraziare gli amici di ‘TUTTI europa ventitrenta’: la vostra vicinanza è molto importante per noi, e spero di poter continuare a scrivere sul vostro periodico, e a mandarvi altri contributi di tante persone che, come me vivono questi tremendi momenti.

Un giorno tutto questo finirà e potrò portare mio marito e le mie due bambine a Roma, a Firenze, a Venezia.

 

Foto di apertura libera da Pizabay