In un lucido editoriale, apparso sul n. 35 di “Famiglia Cristiana” (20 agosto 2022), Andrea Riccardi, fondatore e animatore della Comunità di Sant’Egidio, che opera in oltre 70 paesi del mondo al servizio della pace, dell’evangelizzazione e del sostegno ai poveri, agli ultimi della terra, mette in guardia contro la moltiplicazione dei “giacimenti di odio” sul pianeta Terra.

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Prendendo lo spunto dal grave attentato a Salman Rushdie, oggetto di una condanna a morte per blasfemia (fatwa), pronunciata dall’ayatollah Khomeini addirittura nel 1989 in seguito alla pubblicazione dei “Versi Satanici”, Andrea Riccardi sottolinea come, ai nostri giorni, l’odio e la vendetta siano sempre più alimentati da un Islam radicale e fanatico. Poiché viviamo in un mondo interconnesso, è fatale registrare una straordinaria capacità di trasmettere da un capo all’altro dei cinque continenti la predicazione dell’odio e della vendetta, che ha raggiunto un’intensità inconcepibile perfino al tempo dell’equilibrio del terrore. Dall’osservatorio speciale, proprio della Comunità di Sant’Egidio, impegnata anche nell’assistenza ai migranti per cause belliche, Riccardi, a parte l’infame aggressione russa contro l’Ucraina, esprime il timore che i sempre più cospicui “giacimenti di odio” pronti ad esplodere possano innescare insanabili contrasti e distruzioni, essendo mossi dal terribile comune denominatore discordia-guerra-distruzione-vendetta. Tutti figli legittimi dell’odio, che è quanto di più lontano esista dall’amore fraterno, condiviso da credenti e non credenti che non hanno rinunciato alla grandezza e dignità dell’uomo, e che papa Francesco ha compiutamente espresso nell’enciclica “Fratelli tutti” (2020).

Giogio La Pira, Sindaco a Firenze – Foto pubblico dominio da wikipedia.org

Nel corso della storia recente colui che, con impegno spinto all’estremo, si è pronunciato e soprattutto ha operato per combattere i “giacimenti di odio” è Giorgio La Pira (Pozzallo, 1904 – Firenze, 1977), di cui è in fase avanzata il processo di Beatificazione. Docente universitario, costituzionalista, politico militante, a suo tempo, nella Democrazia Cristiana, è stato sindaco di Firenze dal 1951 al 1957 e poi dal 1961 al 1965. Su questo profeta di pace non possiamo cavarcela con qualche slogan, soprattutto se consideriamo – fenomeno che è più facile osservare che spiegare – che la sua luminosa figura di cristiano, di profeta di pace, di uomo politico interamente dedito al bene comune, di contemplativo in azione, si espande invadendo spazi sempre più vasti nei cuori e nelle menti di coloro che inorridiscono dinanzi alla moltiplicazione degli attuali “giacimenti di odio, guerra e vendetta” e, per contrasto, si impegnano sugli aspri, ma quanto mai necessari sentieri della pace.

Eppure, la sua figura profetica, la sua azione al servizio della “povera gente”, la sua statura di padre costituente che ha impregnato di umanesimo cristiano la nostra Carta costituzionale, la sua insonne attività di “sindaco santo” di Firenze, erano già a tutti note molto tempo prima della sua dipartita. Al di là delle appartenenze politiche, appariva chiaramente un sublime diverso che scompaginava, a beneficio della ricerca della verità, del bene e della pace, gli schieramenti ideologici. Basti ricordare che in un momento storico di massimo contrasto tra Democrazia cristiana e Partito comunista, venne eletto sindaco di Firenze con il sostanziale consenso dei rappresentanti di tali partiti.

Qual è stato il segreto di Giorgio La Pira? Univoca la risposta a questo interrogativo: avere interpretato con semplicità ed altrettanta credibilità il ruolo del profeta biblicamente inteso. Profeta non certo nel significato peregrino di colui che predice il futuro, ma di chi parla in nome di Dio. Diceva l’Abbé Pierre (Lione, 1912 – Parigi, 2007) che profeta è l’uomo “che grida e si fa voce degli uomini senza voce; uno che si erge tra un potere cieco e un bisogno muto”. Il fondatore della comunità di Emmaus metteva in guardia i veri profeti da vari incidenti del mestiere cui vanno spesso incontro, come l’incomprensione, l’emarginazione, la persecuzione, spesso spinta fino al martirio: Giovanni Battista docet. Ebbene, Giorgio La Pira ha personalmente sperimentato sulla sua pelle tutti questi incidenti di percorso.

Memorial guerra in Vietnam – Foto libera da Pixabay

Basti pensare all’atteggiamento vessatorio nei suoi confronti da parte del potere fascista e soprattutto al vergognoso linciaggio morale cui lo sottoposero, quasi all’unanimità, tutti i tromboni della stampa italiana, in piena guerra del Vietnam, dopo il suo avventuroso viaggio ad Hanoi, che lo portò ad incontrare Ho Chi Minh (8 – 11 novembre 1965). Al suo ritorno, egli presentò ad Amintore Fanfani, allora presidente di turno dell’Assemblea dell’ONU, un piano di pace concordato con Ho Chi Minh che, se fosse stato immediatamente preso in considerazione dagli Stati Uniti, avrebbe potuto salvare centinaia di migliaia di vite umane e risolvere il conflitto vietnamita con ben 8 anni di anticipo, se è vero, come è storicamente certo, che il 27 gennaio 1973 gli accordi di pace firmati a Parigi si basarono proprio sulla bozza presentata nel ’65 da La Pira, che prevedeva il ritiro delle truppe americane dal Vietnam, il rilascio dei prigionieri di guerra americani e sudvietnamiti e l’accorpamento del Vietnam del Nord con il Vietnam del Sud in un’unica entità statale. Profeta troppo in anticipo sui tempi e sulla logica del bene rispetto a quella del male, non solo fu diffamato da tutti i più acclamati editorialisti del tempo, ma anche da gran parte della classe politica, non esclusa quella che faceva riferimento alla DC. Incidenti di percorso di un vero profeta che vedeva lontano e fu sprezzantemente trattato da un esercito di miopi come un ingenuo sognatore. Ciò malgrado, La Pira, uomo di Dio, mai si scoraggiò, anzi intensificò il suo impegno per la pace. Non va dimenticata, inoltre, la denuncia quotidiana dello scandalo della povertà e dell’idolatria della società dei consumi, fredda, materialista, orizzontale, fondata sull’indifferenza verso il dolore del prossimo. E qui siamo proprio, si direbbe, in pieno 2022.

Precursore e annunciatore del Concilio Vaticano II, La Pira interpretò poi concretamente il significato della Contestazione globale del ’68 nella sua “pars construens”, soprattutto quando descrisse i giovani del suo tempo come uno stormo di rondini che annunciavano la primavera. “È un fatto – diceva – di inevitabile e irreversibile migrazione delle generazioni nuove, che, mutata la stagione storica, si muovono, appunto, inevitabilmente ed irreversibilmente verso continenti nuovi, verso civiltà nuove, strutture nuove, società nuove”. Testimone di speranza in un mondo scombinato e senza progetto, La Pira si adoperò per costruire i quattro pilastri della pace (verità, giustizia, amore, libertà), come vennero enunciati nell’enciclica “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII, emanata l’11 aprile 1963. Va da sé che rivangare gli anni in cui si levò alta la voce di Giorgio La Pira sulla inevitabilità della pace per salvare il mondo, significa anche assumere in pieno le sfide delle problematiche dell’incerto presente. Mi riferisco, è ovvio, in particolare alla guerra scatenata da Putin, ai suddetti vasti “giacimenti di odio”, al terrorismo islamico, alla condizione della donna soprattutto ma non solo nell’Islam, tutte infauste emergenze che devono potenziare la passione per la pace, punto di riferimento irrinunciabile per fronteggiare la “guerra mondiale a pezzi” (Papa Francesco), che rischia di fare a meno dei pezzi e di lasciare solo la guerra mondiale, nella quale potremmo, Dio non voglia, scivolare senza accorgercene. Basti pensare a Siria, Iran, Iraq, Afghanistan…

Hiroshima dopo la bomba, 1945 (NARA)” – pingnews.com – Public Domain Mark 1.0.

La testimonianza di La Pira travalica il momento storico in cui visse e costituisce un riferimento sicuro per il nostro tempo tormentato. Il suo impegno per la pace, teorizzato e messo in pratica, è fondamentale per conoscere il pensiero dell’uomo di fede pozzallese, tutto incentrato sul comune denominatore della ricerca concreta e inesausta del bene comune. C’è da sottolineare come la Seconda guerra mondiale e soprattutto il tragico epilogo che segnò l’inizio dell’era nucleare, iniziata con il tragico sganciamento della bomba atomica su Hiroshima e Nagasaki, costituirono gli eventi che guidarono la Pira a rifiutare in toto la guerra e a prevenirla per farla poi sparire dalla faccia della terra. Dopo un periodo di riflessione sulla possibilità della cosiddetta ingerenza umanitaria, teoricamente prevista anche dall’ONU, secondo cui la difesa da uno Stato criminale aggressore sarebbe legittima, come atto di giustizia penale internazionale, il pensiero e l’azione del pozzallese si collocarono sullo sfondo di una totale delegittimazione della guerra. C’è un crescendo antibellico che va dall’opposizione senza se e senza ma alle mire aggressive della Germania nazista alla Seconda guerra mondiale, “ove non c’è alcuna proporzione tra gli effetti distruttivi e le cause di discordia che dividono l’Europa e i popoli”. Il che gli consente, dopo lo sgancio dell’atomica su Hiroshima e Nagasaki, di individuare lo spartiacque tra due epoche storiche.

Di fronte a tale tragico trapasso epocale, enfatizzato dall’equilibrio del terrore tra USA e URSS, La Pira elaborò la parte finale e più impegnativa delle sue argomentazioni contro la guerra. Ecco in sintesi: “Poiché, con l’avvento dell’era atomica, che pone a rischio l’umanità intera e la sua sopravvivenza, è di fatto mutata la situazione del genere umano, l’utopia di ieri, la pace, deve necessariamente diventare la realtà viva, operante e palpitante di oggi, così come, contemporaneamente, la realtà di prima, di sempre, la guerra, altrettanto necessariamente deve essere respinta negli ambiti dell’utopia”. Non si tratta solo dell’aspirazione di un’anima bella, ma di un imperativo storico, razionale, a cui sfuggono soltanto soggetti criminali come Putin e i suoi accoliti e Kim Jong-nam, leader supremo della Repubblica Popolare Democratica di Corea.

Chiuso lo spazio per una strategia di guerra, non resta che quello della strategia della pace, a cui va indirizzata tutta l’intelligenza dell’Homo sapiens. Siamo dunque alla ‘profezia di Isaia’: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra» (Is, 2 – 4). È questa la lezione ultima, definitiva. Siamo al pacifismo radicale, alla convinzione che, per preparare la pace, si deve operare sul piano della formazione delle coscienze e della pratica insonne dello spirito di giustizia e fratellanza. Con quanta audacia e coraggio profetico La Pira interpretò tale spirito riuscendo a far breccia nel cuore dei potenti dell’epoca, da Kruscev, a de Gaulle, a Nasser e soprattutto a Ho Chi Mihn, che, come già evidenziato, superando sbarramenti ed ostacoli inimmaginabili, andò ad incontrare addirittura nel suo “covo”, ad Hanoi (8 novembre 1965)!

Siamo convinti che, se un La Pira fosse presente oggi tra noi, avrebbe già profeticamente trovato la via per mettere il guerrafondaio Putin dinanzi alle gravissime responsabilità. Il pozzallese non fece altro che applicare gli enunciati della Magna Charta della pace, cioè della citata enciclica “Pacem in Terris” di Giovanni XXIII. Ciò spiega pure, mutatis mutandis, come La Pira sia stato anche la punta di diamante della Contestazione del ’68, caratterizzata da contrasti e ambivalenze. Cupa e inquietante resta la sua “pars destruens”, che finì, in Italia, per sfociare nel terrorismo, nel “diritto” all’aborto, alla soppressione della vita nascente e quindi nell’edonismo, nel relativismo, nel narcisismo e nel nichilismo.

Ma la Contestazione ha pure la sua corposa “pars construens”, interpretata proprio da La Pira che evidenziava nella ribellione dei giovani contro una società ingiusta, in debito di speranza, una radicale revisione del mondo statico, a porte e finestre chiuse, incapace di rinnovarsi, perché continuava ad essere organizzato per la guerra in un momento storico in cui bisognava prendere atto della sua impossibilità. Ecco il significato profondo, sia pure a livello non sempre consapevole, della lotta dei giovani contro il “sistema”. Certamente, molti di loro si accontentarono di giocare alla Contestazione e finirono per adagiarsi sulla comoda rivoluzione sessuale, che non esigeva né rigore intellettuale e morale e neppure duro impegno personale. Si accontentarono di una superficiale libertà, non di rado annegata nelle tossicodipendenze e nel soffocamento del pensiero creativo.

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I più accorti di loro, animati dallo spirito di ricerca della verità, intesero la rivolta proprio come opposizione a quelli che, all’inizio, abbiamo definito “giacimenti di odio, dunque di guerra”. Ecco perché riemerge oggi, nel 2022, l’ammonizione lapiriana per salvare il mondo corroso dall’odio e dall’istintualità malvagia e corrosiva della guerra: “O la distruzione finale apocalittica della terra o l’edificazione millenaria essa pure apocalittica della pace. Tertium non datur”.

 

Di fronte alla terribile visione della guerra contro l’Ucraina, alla Cina (ma anche all’India) che pensa di sfruttare la guerra di Putin in chiave antioccidentale, al terrorismo islamista, alla ribellione delle donne contro il regime iraniano, alla guerra civile strisciante in Iraq, alle devastazioni in Libano, in Siria, in Afghanistan, ecc., non ci resta che il sentiero di Isaia e la profetica strategia di pace del Pozzallese.

Non uno, ma dieci, cento la Pira per spegnere il fuoco che divampa su gran parte della madre Terra.

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