In un freddo aprile arrivo dai miei amici a Monaco. Andiamo a visitare il museo dedicato alla storia del nazionalsocialismo tedesco. In quei giorni, i telegiornali traboccano di notizie sui terribili eventi di Bucha in Ucraina. Il male commesso. Un male che non ha equivalenti lessicali, perché l’ingiustizia e il dolore inceneriscono l’anima. Nel museo del nazismo, studio la cronologia dell’Olocausto. Dalla genesi all’incarnazione dell’idea dello sterminio di gruppi etnici come dottrina nazionale di Stato.

Come medico diagnosta professionista, mi interessano le fasi e le particolarità della crescita di un tumore canceroso virulento nel corpo della società. Il male si diffonde di anno in anno.

1918. Appaiono i primi riferimenti alle “colpe degli ebrei” nei fallimenti della Germania.

1933. Anno dell’ascesa al potere dei nazisti.

1935. Iniziano le persecuzioni e i pogrom, con la connivenza – o l’approvazione – del mondo borghese.

1938-Hitler con (da sx.) Chamberlain, Daladier, Mussolini e Ciano prima della firma dell’accordo di Monaco- wikipedia.org – CC BY-SA 3.0 de

1935 meno 1918: diciassette anni. Il tempo necessario a dar vita a un selvaggio percorso di crescita del cancro della coscienza. Diciassette anni di irradiazione quotidiana dei cervelli dei tedeschi con la propaganda radioattiva: ed ecco che si formano le grandi metastasi che compromettono la vista e l’udito dei cittadini del Reich. D’ora in poi nei campi di sterminio non andranno più né donne né uomini, né vecchi né bambini: gli ebrei vengono completamente disumanizzati e non sono più percepiti come persone. La compassione umana, fisiologica e istintiva nella sua essenza, scompare. La biomassa senza volto sta semplicemente sterminando: sta operando la soluzione finale della “questione ebraica”. Il sole d’aprile non scalda più “la casa marrone” * residenza del Reich nazista nella capitale della Baviera. Si eliminava così l’epicentro dell’ingegneria di falsificazione della propaganda che è sempre il più efficace strumento di distruzione di massa della coscienza. Da Monaco a Dortmund torno in treno, guardo i campi che scorrono fuori dal finestrino, le strade e le case, i paesaggi ben curati della Renania Settentrionale-Vestfalia. Il tragitto non è breve e ho il tempo di gironzolare per un altro museo. Il museo virtuale del nazismo nella mia memoria recente.

2004, dicembre – Sto seguendo un corso di formazione a Mosca

Il corso è condotto da un famoso scienziato, l’accademico D. Per la prima volta sento dire cose strane: “Gli ucraini sono una sotto-nazione ingrata… una periferia… una tribù rabbiosa che non ha una propria cultura… un popolo brutto… e le donne ucraine sono brutte…“. Io, donna nativa di Kharkiv, (una grande città ucraina, che ospitava una grande comunità russa e di filo-russi) mi trovo per la prima volta nella mia vita dinanzi a una posizione così chiaramente anti-ucraina. Proprio quell’anno la televisione russa si stava trasformando in uno sporco reattore nucleare.

2008 – Sono a Kiev

Il professore moscovita M. tiene una conferenza. È scortese con il pubblico, dice che i medici ucraini sono arretrati, professionalmente non qualificati e non conoscono le lingue straniere. Paragona la regione di Rivne all’Africa equatoriale e incita al separatismo gli abitanti della Crimea. Il pubblico russo non capisce le battute e non si rende conto che il professor M. non sta scherzando.

2011 – Sono a Parigi, ad un forum internazionale

Incontriamo i professori K. e B. di Mosca e San Pietroburgo. Si comportano in modo ostile e aggressivo. Nella retorica della disputa geopolitica tra Russia e Ucraina, le loro argomentazioni sono offensive, soprattutto quando paragonano l’Ucraina a un “barbone in una pozzanghera fangosa” facendo riferimento ad un aneddoto per nulla divertente.

2018 – Congresso nella capitale di uno dei Paesi dell’ex Unione Sovietica.

Sono l’unica donna Ucraina partecipante.

Nell’annunciare il programma, il responsabile del Congresso inciampa sul nome del mio Paese. Nella sala regna un silenzio carico di negatività. La sera, mio marito ed io siamo invitati a cena da alcuni colleghi, una famiglia russa. La tavola è apparecchiata. Il padrone di casa, di mentalità ristretta ma cordiale, che ha già bevuto un paio di bicchieri, fa un brindisi per noi, per i suoi ospiti, e dice letteralmente quanto segue:

“Ecco, vi sto guardando. Anche se siete ucraini, siete persone normali mentre pensavo che gli ucraini… fossero molto cattivi. Tutti loro. Persone molto cattive. Alla nostra televisione dalla mattina alla sera dicono… che gli ucraini… beh… sono le canaglie … Ma voi siete normali”.

2020 – Sono a Tel Aviv

In albergo, facendo zapping in tv, finisco sui canali russi e “impazzisco” per le ore di odio tossico anti-ucraino.

Foto di Inessa Safonova dalla sua auto

2022 – Sono a Kharkiv, nel seminterrato

Sono in autostrada con i genitori anziani, in un ingorgo chilometrico.

Sono al confine, in una colonna di profughi.

Centro di documentazione NS a Monaco di Baviera – di Guido Radig – CC BY 3.0

E infine sono a Monaco, nel museo della storia del nazismo, dove mi accorgo di una strana coincidenza di fasi temporali.

2022 meno 2004 = diciotto anni.

Diciotto anni di irradiazione informativa hanno reso possibili i massacri di Irpin e Izyum, le esplosioni a Kiev, come era accaduto per  l’Holodomor, lo sterminio per fame e freddo degli Ucraini durante l’era staliniana, oggi il terrore energetico. I russi, colpiti dalle radiazioni della propaganda, sono stati resi sordi e ciechi. Ai loro occhi non ci sono bambini nè anziani, non ci sono neonati indifesi, non ci sono scolari più giovani e non ci sono pazienti cronici nei rifugi bui. Medici, adolescenti, contadini, giovani madri, scienziati, donne incinte e pensionati vivono in un incredibile dolore. Non sono persone, ma una biomassa senza volto.

La “questione ucraina” si sta risolvendo. Il ciclo di disumanizzazione è completato.

Le metastasi sono irreversibili.

Foto di apertura libera da Pixabay

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*La “casa marrone” nel centro di Monaco è stata smantellata da tempo. È stata sostituita dall’anti-monumento: un piedistallo con erbacce non tagliate. Un’immagine forte. Un magnifico simbolo dell’oblio e della dimenticanza, un antimemoriale del nazismo un male che non dovrebbe mai essere dimenticato.