La medicina territoriale salda indissolubilmente la sua funzione essenziale di “cura” a quella non meno importante di “ricerca”, in particolare attraverso l’attenta osservazione dei modi con cui si manifestano e si evolvono le patologie e i relativi trattamenti. Da questa osservazione nascono spunti fondamentali di conoscenza, che vengono “traslati”

  • dal contesto territoriale od ospedaliero e dal rapporto “in chiaro” fra medico e paziente
  • a quello dei centri scientifici e della ricerca su dati codificati (“pseudonimizzati”) e come tali non (più) identificativi.

In quest’ultimo contesto si sviluppano, si confrontano ed affinano le conoscenze che possono dare vita ad indagini sperimentali sempre più mirate sulle patologie: ricerche condotte in vitro e poi in vivo nelle fasi precliniche e cliniche, fino alla messa a punto di nuovi medicinali o dispositivi medici, ovvero di loro nuove indicazioni terapeutiche.

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A questo processo “virtuoso” presiedono considerazioni di bioetica che si traducono in norme o linee guida che la comunità medico-scientifica, territoriale e di ricerca, è chiamata ad elaborare d applicare con coerenza e trasparenza, realizzando il dettato costituzionale (art. 32) che definisce la tutela della salute “come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività”: realizzare la “saldatura” fra cura e ricerca, garantendo l’universalità del Servizio Sanitario Nazionale, è quindi un compito fondamentale di cui essere costantemente consapevoli e corresponsabili.

Quali possono essere i principali percorsi per perseguire le finalità sopra indicate? Dall’esperienza dei Comitati Etici (organi collegiali multidisciplinari focalizzati in particolare sulla tutela dei pazienti nell’ambito delle sperimentazioni cliniche) ne emergono alcuni, con caratteristiche di “ponte” fra cura e ricerca:

  • il c.d. empowerment dei pazienti (ma anche dei medici e dele istituzioni): senza limitarci alle sperimentazioni, occorre guardare ad un rapporto sempre più aperto e coinvolgente fra medico (territoriale, ospedaliero o di ricerca) e paziente, perché la partecipazione di quest’ultimo ai processi clinici che lo riguardano ne valorizzi appieno la dignità di persona e la capacità di compliance, fondamentale per la buona riuscita dei trattamenti: centrale a questo riguardo è la spiegazione in termini accessibili (somministrazione del consenso informato come tempo di cura e non adempimento burocratico) del percorso di cura o ricerca, con la disponibilità a chiarire quanto più possibile eventuali dubbi;
  • la semplificazione dei processi: è il compito più diretto (e meno semplice nell’attuale fase di transizione ad una governance europea della ricerca clinica (che verrà applicata in via esclusiva da fine gennaio 2023) ed agli assestamenti “tellurici” attualmente in corso per l’attuazione della legge n. 3 del 2018, ancora largamente incompiuta: di particolare impatto (negativo) sono le complicazioni dovute (i) alla diffusione di standard contrattuali e comportamentali efficienti ed uniformati al nuovo contesto, (ii) alla riduzione degli adempimenti, in particolare quelli a fini privacy, ferma restando la protezione dei dati personali identificativi dei pazienti, (iii) alla ancora scarsa trasparenza, ed alla conseguente difficile gestione, dei profili di pubblicazione/informazione sui risultati degli studi e degli interessi in potenziale conflitto;
  • le prospettive sempre più ampie che la ricerca offre all’impegno di cura sul territorio: accanto a novità incoraggianti si profilano situazioni di maggiore criticità su cui intervenire dopo una riflessione condivisa: in particolare le tematiche legate alla cura di pazienti non-competent, alle situazioni di fine vita (i Comitati Etici sono allo stato competenti per la valutazione delle richieste di suicidio medicalmente assistito) e più in generale la necessità che le ricerche biomediche future di tipo genetico abbiano sempre una possibilità di informativa e coinvolgimento dei pazienti appaiono altrettanto importanti degli avanzamenti, pure necessari, della regolamentazione e dell’individuazione dei “luoghi” in cui si arrivi a prendere le decisioni più rilevanti nel modo più efficace, rapido e chiaro possibile;
  • last, not least, la tutela adeguata delle responsabilità che i diversi soggetti “prestatori di servizio” assumono (e/o in cui posson incorrere) nell’espletamento delle rispettive mission: la medicina difensiva non è la prospettiva corretta in cui inquadrare il futuro della cura e della ricerca, occorre che la necessaria attività di formazione e di prevenzione passi nell’intera filiera, ma richiede a ciascuno una partecipazione responsabile, cosciente e pro-attiva (da questo punto di vista la burocratizzazione delle attività di ECM porta a perdite rilevanti di “presa” sul rapporto e sulla reciproca fiducia paziente-medico – in una parola, sulla qualità della relazione e del servizio prestato, che è il miglior antidoto a possibili (ma da evitare) derive contenziose – giudiziali – assicurative.

In tutto ciò occorre che le istanze dei diversi stakeholder, della cura come della ricerca (pazienti, medici, centri, Comitati Etici, istituzioni, industria) trovino nella legge la base, la sintesi ed il riferimento “forte” per trovare la migliore espressione possibile, evitando che la fonte regolatrice dei rapporti divenga introvabile, perché persa fra i meandri di dinamiche contrattuali fra parti di forza diversa (come pare prevalere nella realtà americana e in diversi Paesi europei), da un lato, ovvero, dall’altro lato – e non è meno peggio – nelle secche di una burocrazia non coordinata e ancor meno organizzata, che di fatto “risolve” in prassi anacronistiche ed inefficaci proprie dinamiche di potere e carenze strutturali d’impegno.

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Abstract di un intervento tenuto a Milano, Regione Lombardia, il 29 ottobre 2022 nell’ambito del Seminario “STRATEGIE DI CONFRONTO, FORMAZIONE E COMUNICAZIONE ALLE SOGLIE DI UN NUOVO MODELLO DI MEDICINA TERRITORIALE”