Una scatola nera, costruita con i nomi delle vittime italiane dello sterminio nazista, sospesa sulle nostre teste a indicare come i germi di quella immane e incomparabile tragedia incombano ancora su di noi. Un messaggio particolarmente esplicito per chi percorrerà via Alessandro Torlonia, ma anche e soprattutto per chi, al termine della visita al museo, dirigendosi verso l’uscita si troverà a dover camminare sotto il peso schiacciante di un volume sollevato che, non avendo appoggi, gli trasmette la sensazione di potergli precipitare addosso. Una sensazione che tenta di rappresentare la necessità di continuare a fare i conti con una tragedia che non possiamo considerare conclusa, se è vero com’è vero che anche i nostri giorni sono attraversati da inauditi fenomeni di intolleranza e di sopraffazione.

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L’ingresso per il pubblico avverrà dalla soprastante Villa Torlonia, già residenza del Duce e oggi parco museale, nel cui sottosuolo si snoda un importante labirinto di catacombe ebraiche antiche. Attraverso un varco praticato nel muro di recinzione della splendida villa, in prossimità della Casa delle Civette, si imbocca il Percorso dei Giusti, un cammino in discesa che conduce all’ingresso del museo, situato a una quota inferiore di oltre otto metri. Un percorso alla portata di tutti, giovani e anziani, abili e diversamente abili, come tutti gli altri che accompagneranno l’itinerario di visita: così come la Shoah rappresenta un’esaltazione dell’attitudine alla discriminazione e alla sopraffazione, altrettanto il Museo Nazionale della Shoah dovrà esaltare la dimensione dell’incontro alla pari fra tutti i visitatori, certo valorizzandone le differenze, ma lungo uno stesso cammino.

L’ingresso si trova all’interno di un volume laterizio informe, contrapposto alla cupa purezza della scatola nera, a evocare il cataclisma che lo sterminio rappresenta nel corso  storico della civiltà europea.

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Da qui si accede al corpo principale e, imboccando un lungo scalone (o utilizzando un ascensore capiente), si raggiunge la sommità dell’edificio da cui, lungo una rampa discendente che penetra in profondità nel terreno, si snoda il racconto della persecuzione e dello sterminio, dall’affermazione dei regimi totalitari alla legislazione antiebraica, dai campi di concentramento alle camere a gas. Un racconto prodotto dalla volontà di ricordare per non ripetere e dunque dalla volontà di combattere un’indifferenza verso persecuzioni e stermini in corso ai nostri giorni, che non è strutturalmente diversa da quella che ha consentito l’avvento del fascismo in Italia negli anni ’20 e del nazismo in Germania negli anni ’30.

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Anche a questo fine, lungo i percorsi di ingresso e uscita dal Museo, saranno ricordati i giusti, coloro che misero a repentaglio la propria incolumità per salvare la propria umanità, prestando soccorso agli ebrei perseguitati. Una risposta allo stereotipo degli italiani brava gente, denunciato all’interno del museo, secondo il quale il regime dittatoriale rendeva impossibile reagire alle leggi razziali del ’38 e alle razzie di ebrei compiute da nazisti e fascisti durante l’occupazione tedesca: e invece opporsi si poteva, e sempre si può, come dimostra l’esempio di quei valorosi dei quali è doveroso ricordare l’esempio e il nome, tutti i nomi, anche nella speranza che, all’occorrenza, ciascuno di noi possa comportarsi da ”giusto”.