Fra pochi giorni verrà celebrato il 25 Aprile, la Liberazione, ma saranno anche 78 anni dalla fine della Resistenza contro l’invasore nazista, la repubblica di Salò e il ventennio fascista. In quei due anni maledetti dopo l’8 settembre 1943 il ruolo della Donna fu essenziale, salvifico per tutti e va sempre ricordato, perché la memoria è lo strumento che abbiamo per testimoniare la volontà che certi dolori e nefandezze non si ripetano. Parliamo dell’Italia, ma ogni giorno, purtroppo da sempre ci sono donne nel mondo che combattono per la libertà, per la famiglia, per la loro terra e non sono mai considerate sufficientemente per quello che rappresentano.

Ada Gobetti (1902 – 1968)-Foto pubblico dominio da wikipedia.org

Penso che il significato profondo sia in questa dichiarazione, testimonianza di Ada Gobetti, moglie di Piero: “Nella Resistenza la donna fu presente ovunque: sul campo di battaglia come sul luogo di lavoro, nel chiuso della prigione come nella piazza o nell’intimità della casa. Non vi fu attività, lotta, organizzazione, collaborazione, a cui ella non partecipasse: come una spola in continuo movimento costruiva e teneva insieme, muovendo instancabile, il tessuto sotterraneo della guerra partigiana”

 In quegli anni le donne impegnate a vario titolo nella Resistenza furono un numero elevatissimo: 35mila partigiane e combattenti, decine di migliaia di aderenti ai GDD (Gruppi di Difesa della Donna), inoltre numeri che fanno paura, anche perché sicuramente incompleti, e per difetto, ovvero oltre seicento morte in combattimento, oltre 1.500 deportate nei vari campi di concentramento (Italia, Germania, Polonia, Austria, Ungheria) e almeno 5.000 tra quelle arrestate, torturate e violentate. Ricordiamo però che il loro impegno si concretizzò sin da subito dopo l’8 settembre, attraverso gli scioperi, perché da un lato impegnate nelle fabbriche per sostituire gli uomini al fronte, ma anche conduttrici di treno e di tram, dall’altro sfruttate e vessate sia nella paga che nei turni di lavoro, anche dodici ore. Le donne furono impiegate sia nel settore tessile, vedi produzione di uniformi, ma anche industriale, nella catena di montaggio, nella produzione di armi e munizioni, ma anche nei campi.

La Resistenza si espresse come un fenomeno collettivo, una reazione del popolo: in una Italia a grande predominanza rurale la determinazione contro il regime si espresse forse lentamente, collegandola a difficoltà familiari, congiunti morti in guerra, danni alla proprietà. Velocità diversa la ebbe il mondo delle donne che vivevano in contesti urbani, anche di piccole realtà collinari o di montagna, magari in un contesto culturale diverso, magari con qualifiche professionali, ma anche operaie e artigiane. Lì la reazione del mondo femminile e l’avversione al fascismo, e all’8 settembre, fu più veemente, partecipata, formatasi e consolidata sul posto di lavoro e anche in famiglia.

Scrivevo dei “Gruppi di Difesa della Donna”, si formano a Milano sulla spinta di tre donne del Pci: Rina Picolato, Giovanna Barcellona e Lina Fibbi, insieme a Ada Gobetti per il Partito d’Azione e Lina Merlin per il Psi. Nello stesso periodo viene fondato il giornale “Noi donne”, nato sulla spinta del Comitato di Liberazione Nazionale. Quelle donne ricopriranno fino alla Liberazione un numero enorme di ruoli, portando altresì anche le loro convinzioni politiche nelle riunioni, inoltre come assistenza ai partigiani, come combattenti partigiane sui colli e sui monti dell’Italia del nord e centrale, poi come staffette, infermiere, cuoche, rammendatrici, impegnate nei giornali e nei mezzi di diffusione di notizie, stampa clandestina e così via.

Sicuramente la mansione che divenne quasi una leggenda fu quella della staffetta, a piedi, in bicicletta, col somaro, su una corriera o su un trattore, comunque traversavano città e valli, fiumi, montagne per portare ai partigiani ordini, messaggi e comunicazioni varie, notizie sul movimento delle truppe di occupazione, mezzi di sostentamento, medicine, armi e munizioni. Questa attività era per l’epoca, la morale imperante e il tipo di società, quasi impensabile e loro ne furono protagoniste. Va anche detto che se per un uomo poteva essere normale combattere, avevano vissuto un addestramento militare, inoltre “andare sui monti” fu anche per sfuggire ad arresti o arruolamento forzato, non aderire al regime collaborazionista con la Germania nazista, per le donne era difficile accettare e far accettare dalla propria famiglia una convivenza forzata e i contatti con gruppi di maschi.

Tante testimonianze raccontano che alcune erano bambine o giovinette, una fra le tante fu Oriana Fallaci che a 13 anni faceva appunto la staffetta, anche per il semplice fatto che si pensava che potessero destare meno sospetti, …ovvero una giovinetta in bicicletta che potrà mai fare? E invece così riuscivano a garantire i collegamenti tra le varie brigate e mantenere i contatti fra i partigiani e le loro famiglie.

Partigiani garibaldini in piazza San Marco a Venezia nei giorni della liberazione-Foto pubblico dominio da wikipedia.org

Nei racconti che verranno raccolti dopo la Liberazione non c’è traccia di spavalderia, forse incoscienza, nel narrare le mille azioni portate a termine, soprattutto per veicolare informazioni e notizie nelle piazze dei vari paesi, nelle fabbriche, nei mercati, dovunque fosse possibile, con il loro impegno portare una notizia che aiutasse gli altri a credere nella vittoria, nella sconfitta del male e nella liberazione. Le ragazze e le donne che fungevano da staffetta non avevano armi, dovevano passare inosservate, magari con una borsa col doppiofondo per nascondere medicine o cibo, ogni volta col rischio di essere intercettate, arrestate o anche peggio, come purtroppo tante volte successe. Inoltre erano sempre in prima linea, perché durante eventuali spostamenti delle brigate partigiane, quando arrivavano vicino a un centro abitato, era la staffetta che per prima entrava in paese per controllare che non vi fossero nemici e poter far avanzare i compagni.

Va detto che finita la guerra sia da un punto di vista storiografico ma anche istituzionale il contributo delle Donne alla Resistenza non è stato mai veramente riconosciuto, rimanendo quasi un ruolo subalterno, con una visione della lotta armata tutta al “maschile”, una lotta partigiana sì, metro dopo metro, ma militare in senso tradizionale, senza considerare i tanti diversi modi con cui le donne parteciparono a quegli eventi.

Sta quindi a noi non dimenticare, riproporre la memoria alle giovani generazioni sul valore della libertà, sul significato profondo dell’unità della nostra nazione, sull’importanza, allora come oggi, delle Donne nella società, di quelle che si sono sacrificate allora per farci vivere liberi e di tutte quelle che ancora oggi si impegnano al fianco dell’uomo, spesso davanti all’uomo.

Foto di apertura: Partigiani e partigiane sfilano per le strade di Milano subito dopo la Liberazione – Foto pubblico dominio da wikipedia.org