L’analisi più catastrofica sul mondo del lavoro prevede la perdita di 300 milioni di posti di lavoro di qui al 2040. Percentuale tutt’altro che minoritaria all’interno di un universo di otto miliardi di esseri umani in una geo-statistica demografica che vedrà l’Africa crescere e l’Europa marginalizzarsi (Italia compresa) anche come capacità d’influenza. Chi vivrà vedrà bilanciando la famosa alternativa tra l’ottimismo della volontà e il pessimismo dell’intelligenza. Quello che è certo è che tra i marosi del cambiamento climatico, del politicamente corretto e dell’intelligenza artificiale, i Governi dell’orbe terracqueo non sembrano avere la capacità di visione e narrazione che sarebbe auspicabile per riconvertire mestieri e professioni, assicurando un futuro certo ai lavoratori delle funzioni precarie.

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È per questo che si parla di più di formazione ad hoc, mettendo sempre più in ombra il valore e le potenzialità del titolo di studio. A che serve oggi la laurea soprattutto in determinate facoltà rispetto al potere d’ingaggio di istituzioni private come la Luiss e Bocconi, strutturate sul modello americano? Ovvero le alte tasse che paghi oggi ti verranno restituite con una professione all’altezza domani. Per la verità questo negli Stati Uniti ha determinato uno scompenso economico con il formidabile indebitamento delle famiglie, quasi ostaggio delle banche per assicurare un futuro ai figli. E la tendopoli all’Università di Roma è un segno di un’analoga bolla. Ma in attesa del 2040 dei futurologi la crisi bussa perentoriamente alle porte dell’attualità. Se Airbnb è uno dei fenomeni abitativi/immobiliari del decennio è anche vero che il suo fondatore Brian Chesky ha deciso di licenziare 7.000 impiegati. E il numero cresce nella prospettiva di liquidazione all’IBM dove il surplus è stato calcolato in 8.000 unità. Buffo notare che sono proprio gli inventori dell’evoluzione artificiale le prime vittime di quanto hanno contribuito a creare. Sintomatica la fuga da Google di Geoffrey Hinton, preoccupato delle conseguenze delle proprie scoperte evolutive.

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Gli algoritmi, il mondo dell’online, il supporto ChatGPT, renderanno obsolete alcune professioni. E una scorciatoia diabolica per inoltrarsi in questa direzione è stato lo smart working, ritrovato di sistema anti-pandemico, diventato ora anche comodo rifugio per tutte quelle aziende private e non che, mantenendo il personale a casa, possono risparmiare su affitti, bollette. La svalutazione del capitale e dell’intelligenza umana è dietro l’angolo. Vedremo libri scritti da computer? Robot che lavoreranno e penseranno per noi? Già si possono produrre articoli, la confezione di un intero libro è dietro l’angolo. E saranno più interessanti del libro di Totti o di Fedez? Non è escluso. Battute a parte, la trasformazione è già sotto gli occhi di tutti: redazioni svuotate, banche senza cassieri, botteghini di teatri e cinema in liquidazione. Salta l’intermediazione della voce umana sostituita da un acefalo risponditore. Come si può coniugare questa trasformazione coatta con la burocrazia italiana, innervata su milioni di dipendenti, a volte assai poco informatici, rappresenta un autentico rebus, sotto certi aspetti un terrifico incubo, anche perché l’Italia allo specchio propone una popolazione anziana e assolutamente refrattaria al cambiamento.

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