La sostenibilità conviene

António Guterres : Europ. Commis.(Christophe Licoppe) – Audiovisual Service, commons.wikimedia.org

Qualche anno fa avrei concluso il titolo con un punto interrogativo, invece del punto esclamativo che leggete. E non solo perché urge un cambio di paradigma economico in quanto, come dice il Segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres, “Siamo sull’orlo dell’abisso, e pertanto occorre agire subito“, ma anche perché ormai siamo sempre più consapevoli che è anche conveniente. Ne sono consapevoli i cittadini che vogliono una società più serena e vivibile, con un clima di relazioni meno aggressive e stressate, in un ambiente più equilibrato e sano, capace di continuare a fornirci tutti quei servizi ecosistemici che permettono la nostra vita. Sempre più i cittadini “votano per una società armonica”, chiedendo più partecipazione e, agli amministratori locali, più cura del territorio. Ne sono consapevoli i lavoratori, che esigono un ambiente di lavoro più rispettoso, capace di valorizzare le capacità di ciascuno, dove apprendere e crescere, e che “votano con i piedi” lasciando posti di lavoro incapaci di rispondere ai loro bisogni di qualità del lavoro e dei tempi di vita. Ne sono consapevoli i consumatori, che vogliono prodotti e servizi di qualità, puliti e giusti. Sempre più i consumatori “votano col portafoglio”, premiando nei loro acquisti quotidiani le imprese che mostrano di essere più meritevoli, perché responsabili e sostenibili.

Ne sono consapevoli le imprese, sottoposte a sfide nuove e crescenti: da una parte l’innovazione tecnologica che minaccia i business tradizionali, ma anche genera grandi opportunità, dall’altra l’erosione delle risorse naturali, la crisi climatica e la fine di una disponibilità ampia dei lavoratori, che, quando qualificati, sempre più possono scegliere con chi lavorare. Le imprese “votano per la loro reputazione e per il loro futuro” attraverso investimenti tanto per una maggiore sostenibilità sociale, capace di conciliare esigenze di vita e di lavoro, quanto per ridurre l’impatto ambientale. Per le imprese, senza tali investimenti, anche la sostenibilità economica diventa sempre più difficile.

Per tutti gli attori della società la grande scoperta e sorpresa di questi anni è, lo ripeto, che la sostenibilità è conveniente e che i costi della non sostenibilità diventano sempre maggiori, almeno sul medio termine.

Ma perché bisogna cambiare?

In questi anni di crisi ambientale, di pandemia, di guerra, di crisi economica siamo anche diventati più consapevoli di crescenti “fallimenti del mercato”, in cui l’economia di mercato lasciata a se stessa non pare guidata saggiamente dalla mano invisibile, e non è in grado di risolvere i problemi della nostra società. Vediamo alcuni esempi:

  • da una parte oltre 800 milioni di persone soffrono la fame, e negli ultimi tempi il loro numero invece di diminuire, come richiesto dall’Agenda 2030, è aumentato a fronte di ampi sprechi alimentari e di una produzione agricola mondiale per quasi la metà persa: oggi ci sarebbe cibo per ben 13 miliardi di persone, se i meccanismi distributivi ed economici funzionassero!
  • Non si fa ricerca sulle malattie rare perché la domanda, pur ampia ed urgente, non paga abbastanza, e le imprese per quadrare i conti si concentrano dunque sui clienti paganti.
  • La pandemia ci ha sorpreso, e ci siamo scoperti in ritardo nelle capacità di ricerca e produzione di vaccini, e con pochi posti letto per la rianimazione negli ospedali, perché gli investimenti sono rilevanti e rischiosi e non paiono remunerativi in un tempo ragionevole. E poi le cliniche private non possono tenere costosi posti in rianimazione sottoutilizzati in attesa di eventi estremi. Anche la produzione di mascherine era insufficiente e delocalizzata per ragioni di costi di produzione e di costi di magazzino elevati, in quanto le ridondanze sono un forte costo e le imprese producono quello che si può vendere a breve sul mercato.
  • Povertà e disuguaglianze crescono nel mondo: i ricchi diventano sempre più ricchi ed i poveri crescono di numero. La nostra economia e la nostra società non sono per tutti, e non riescono a rispondere ai bisogni di equità della società.
  • Gli investimenti pubblici nella ricerca di base, nell’aerospaziale, nella rete telematica (internet), nelle fonti energetiche rinnovabili hanno generato nuove conoscenze, che sono utilizzate dalle aziende per sviluppare nuove opportunità di business, privatizzando così i risultati della ricerca.

Quale economia di mercato

L’economia di mercato è una piattaforma utilissima per allocare le risorse in maniera conveniente ed efficiente, e l’impresa è un potentissimo strumento di progresso. Ma non nella logica neoliberista che invoca libertà assoluta per il capitale nell’illusione che i benefici giungano in qualche modo, percolando, a tutti. È la teoria del trickle-down, che propone di agevolare i ricchi e liberare le imprese da lacci e lacciuoli, augurandosi che il benessere scenda anche agli strati più bassi della società, incapaci di provvedere alle proprie esigenze. Tale logica, che punta ad ottimizzare una specifica funzione, ignora il funzionamento di sistema. Inoltre, laddove possibile, sovente esternalizza i costi sulla società (es. lavoro povero, precarietà, ecc.) e sull’ambiente, mantenendosi al limite delle norme ambientali o delocalizzando ove i vincoli sono minori.

Un’economia di mercato senza regole è la legge del più forte che prevarica sul più debole. Nel tempo, per regolare i mercati, sono state definite norme per favorire la concorrenza e contrastare i monopoli, leggi sul welfare, legislazione sociale sul lavoro, sulle pari opportunità, sui vincoli ambientali dalle emissioni alla gestione dei rifiuti. Senza tali norme chi ha più forza prevale, a volte brutalmente.

Così oggi vediamo i grandi monopoli della rete comprare i concorrenti e spegnere l’innovazione con danno per tutti, e poi li vediamo eludere le norme fiscali e rivendersi i nostri dati personali con grande profitto. Certamente occorre eliminare tante norme stupide ed inutili che appesantiscono la vita dei cittadini e la gestione delle aziende. E non abbiamo bisogno di meno regole, ma di regole migliori, a tutela delle parti più deboli e fragili.

Inoltre, occorre una visione complessiva dei bisogni e della direzione della società, che sola può dare una politica partecipata, capace di cogliere le diverse voci ed esigenze e di programmare, proponendo gli obiettivi generali su cui investire (creando anche mercato per le imprese) e insieme regole per la salvaguardia delle persone e dell’ambiente. Così abbiamo indirizzi e regole per l’economia di mercato ai fini della crescita della società.

E l’impresa, strumento potentissimo ed ineludibile per la soddisfazione dei bisogni degli esseri umani, quando è orientata alla sola massimizzazione del profitto e quindi deraglia internalizzando i ricavi ed esternalizzando i costi, perde di vista i veri obiettivi per cui esiste.

Insomma, obiettivo dell’economia, e quindi delle imprese, è la soddisfazione dei bisogni di qualità di vita delle donne e degli uomini, con il limite deciso della salvaguardia e del rispetto dell’ambiente; il profitto è uno strumento di efficienza e di contenimento degli sprechi, ed una motivazione ad agire.

Come cambiare?

Thomas S. Kuhn – Foto da wikipedia.org – CC BY-SA 4.0

Dice Thomas Kuhn: Il cambio di paradigma avviene quando una concezione del mondo prevalente entra in crisi ed è sostituita da una nuova prospettiva. E Richard Buckminster Fuller, grande innovatore, ci ricorda che “Le cose non si cambiano mai lottando contro la realtà esistente, ma bisogna costruire un nuovo modello per rendere obsoleto quello attuale”. Occorre dunque grande impegno e creatività da parte di noi tutti. La filantropia non è una risposta, anche se i ricchi la preferiscono alla solidarietà. Infatti, la filantropia lascia intatta la distinzione tra chi dona e chi riceve, tra chi ha potere e chi non ne ha, e sovente tollera «schiavi» nella propria catena di fornitura, magari nei Paesi Terzi. “I soldi per le tasse è meglio che restino nella mia tasca, perché io li so spendere meglio” sostiene Mark Zuckerberg per giustificare il suo grande impegno nell’elusione fiscale. La solidarietà, invece, non è unilaterale ed è una forma di reciprocità radicata nella consapevolezza che le nostre vite sono tra loro intrecciate. Il dialogo sociale ed il confronto tra le persone porta a mettere a fuoco i reali bisogni di intervento sociale. «Solidarietà significa portare l’uno il peso dell’altro» (Josef Tischner, cappellano di Solidarnosc in Polonia). Lo spirito di solidarietà è alla base della creazione delle reti di sicurezza sociale (welfare state). Ma occorrono le risorse, ed allora Rutger Bregman ha detto al World Economic Forum: «Basta filantropia: ricchi pagate più tasse perché solo così si combattono le diseguaglianze».

Un nuovo paradigma economico sostenibile

Tradizionalmente l’impresa considerava gli stakeholder come una risorsa da utilizzare, un fattore produttivo su cui “fare efficienza” risparmiando quanto più possibile; proprio se costretta ne gestiva il consenso e negoziava, al fine di contenere tensioni per non pregiudicare la produzione ed il conseguimento del massimo profitto.

Leonardo Becchetti dice che, per giungere ad un’economia realmente sostenibile, occorre passare da un’economia tradizionale, a due mani, fondata su Stato che regola (prima mano) e Mercato che produce (seconda mano), ad un’economia a quattro mani più complessa ed articolata, con poteri più distribuiti, ove sono fondamentali le Imprese responsabili (terza mano), stimolate da un mercato di Cittadini consumatori (quarta mano), i “consum-attori”. Questi ultimi, per auto-interesse lungimirante, esprimono dal basso la forza di mercato dei consumatori consapevoli attraverso il “voto col portafoglio”, scegliendo i prodotti di imprese responsabili e allocando i propri risparmi presso fondi ed imprese attenti alle persone ed all’ambiente. L’autointeresse dei cittadini consapevoli oltre a reclamare una società armonica ed inclusiva, richiede anche di armonizzare i diversi ruoli di cittadino, consumatore e lavoratore, in modo da non metterli in conflitto tra di loro, ad esempio puntando al prezzo più basso contro l’interesse come lavoratore ad un giusto salario e ad eque condizioni di lavoro.

In questo quadro, i regolatori del mercato diventano due, dall’alto lo Stato/le aree di Stati/le Organizzazioni mondiali che definiscono regole comuni, sempre più assunte e negoziate in una dimensione internazionale per combattere le asimmetrie, gli squilibri di potere e lo sfruttamento dei più deboli, e dal basso i cittadini responsabili che votano col portafoglio e che, incidendo sulle dinamiche di mercato, rendono conveniente a tutte le imprese, intraprendere percorsi di reale sostenibilità.

 

Questa nuova economia rimette in ordine le priorità, passando dal dominio degli azionisti (che vogliono il massimo profitto) su tutti gli altri interlocutori, ad un’economia di mercato fondata sull’attenzione e sul dialogo tra tutti gli stakeholder: azionisti, clienti, lavoratori, fornitori, ambiente, comunità locale. Tale approccio diventa sempre più ineludibile per l’impresa, ed è di grande vantaggio per l’intera società.