«Prendersi cura dell’ambiente significa avere un atteggiamento di ecologia umana. […] Non si può separare l’uomo dal resto; c’è una relazione che incide in maniera reciproca, sia dell’ambiente sulla persona, sia della persona nel modo in cui tratta l’ambiente». Questa citazione di Papa Francesco sottolinea che la sensibilità per l’ambiente riguarda l’intera vita delle persone, e non è un aspetto separato, che si aggiunge alla dimensione ordinaria dell’economia e della società.

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Anche il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza sottolinea la “centralità green” nella convinzione che la transizione ecologica sia un importante fattore per aumentare la competitività del sistema produttivo, incentivare l’avvio di attività imprenditoriali nuove e ad alto valore aggiunto, creando una stabile occupazione e agire così per uno sviluppo più pieno e complessivo. Ma affinchè le affermazioni sulla crescita sostenibile non rimangano una idea astratta serve che entrino nella vita quotidiana dei cittadini e delle imprese. Come siamo messi al riguardo? Se fino a qualche anno fa la tutela ambientale appariva poco centrale nella percezione della gente, oggi la situazione è capovolta, per quanto c’è ancora molto da fare per passare dalla percezione del problema a comportamenti concreti e attivi diffusi tra le persone.

Secondo l’ultima indagine di Eurobarometro in Italia il 93% delle persone pensa che il cambiamento climatico sia il problema più grave del mondo (molto superiore alla percentuale europea dell’82%). La buona posizione del nostro Paese in questo ambito è attestata anche dall’ultima rilevazione dell’Eco-innovation Index dell’Unione europea: a differenza di altri campi, come ad esempio il digitale, occupiamo una posizione migliore rispetto alla media europea (124 punti rispetto a 121)

Abituati a vederci alla continua rincorsa di altri non ci accorgiamo di alcuni primati che abbiamo in questo campo, come quello dell’efficienza nell’impiego delle risorse, con un punteggio di 268 punti su di un massimo di 330 e una media europea di 147. Con circa l’80% di rifiuti totali avviati a riciclo l’Italia ha infatti un’incidenza più che doppia rispetto alla media europea (solo il 38%) e ben superiore a tutti gli altri grandi Paesi europei: la Francia è al 55%, il Regno Unito al 49%, la Germania al 43% e la Spagna al 37%.

Eco innovation index nei Paesi Europei – 2021

Fonte: Commissione europea

Ma ci sono ambiti in cui possiamo ancora recuperare posizioni come nel caso delle innovazioni per l’ambiente, dove su di una media europea di 113 punti abbiamo uno score di appena 79 punti.

In generale il vettore delle innovazioni è rappresentato dal sistema d’impresa e da questo punto di vista il nostro sistema imprenditoriale è comunque in sostanziale movimento e ricettivo alla tematica, soprattutto per le imprese più grandi. E le rilevazioni del Centro Studi Guglielmo Tagliacarne ci dicono che anche le piccole imprese che hanno fatto investimenti green sono più resilienti e prevedono di uscire prima dalla crisi pandemica, ritornando entro il 2022 ai livelli pre-Covid (67% rispetto al 61% di chi non ha investito). Tuttavia ancora oggi ben il 53% delle pmi non pensa di investire nel settore perché lo ritiene un vincolo e solo un 17% lo considera un’opportunità per la crescita della reputazione aziendale.

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Per una nuova e più complessiva ecologia dal punto di vista sociale un tema di grande rilevanza è rappresentato dal lavoro. Secondo il sistema informativo Excelsior di Unioncamere lo scorso anno il 36% delle nuove entrate nel mondo del lavoro ha riguardato green jobs e nel periodo 2021-2025 il 38% del fabbisogno di professioni richiederà competenze green con importanza elevata (circa 1,3-1,4 milioni di occupati). La domanda di green jobs si caratterizza per una maggiore qualificazione delle competenze ed esperienze, dirigendosi per quasi il 16% verso laureati (contro il 13% degli altri occupati), per il 23% verso chi ha una pregressa specifica esperienza professionale (contro 18% del restante) e ciò nonostante il 45% delle imprese sottolinea la necessità di una idonea formazione successiva all’ingresso in azienda. Chi domanda qualifiche green richiede in misura superiore competenze abilitanti e trasversali rispetto alle altre imprese, in particolare per il problem solving (43% contro 37% delle altre imprese).

Si tratta di un aspetto di grande rilievo perché segnala che la sensibilità green non ha solo una implicazione di ordine tecnico o tecnologico, ma richiede un approccio “a tutto campo” e per molti versi di tipo creativo. In questo contesto allora divengono centrali anche le competenze di tipo umanistico, che orientano proprio nella direzione di quella nuova ecologia umana richiamata da Papa Francesco.

Mettendo insieme le considerazioni svolte emergono allora alcuni ambiti di lavoro sui quali impegnarci nei prossimi anni:

  1. le competenze, aspetto centrale del processo di greening, sia nei percorsi di formazione scolastica e universitaria, sia con la formazione aziendale di dipendenti e imprenditori;
  2. la cultura, sensibilizzando ancora imprese e società sull’importanza di investire in sostenibilità ambientale, sia nelle problematiche di carattere tecnico e tecnologico, sia nell’assistenza all’accesso a risorse e servizi;
  3. sulle norme e la fiscalità, semplificando le procedure delle agevolazioni e incentivando fiscalmente gli investimenti in sostenibilità ambientale;
  4. nella creazione di mercati per la sostenibilità, favorendo l’incontro tra domanda e offerta di prodotti e servizi green (Green Public Procurement, Criteri Ambientali Minimi, piattaforme dedicate per gli acquisti di prodotti e servizi green, materie prime seconde, ecc.), nonché una più vasta cultura del riciclo e del riutilizzo, spingendo sempre più verso percorsi di economia circolare.