La prospettiva di vivere in un mondo più sostenibile attraversa anche la grande finanza. Le sfide per la costruzione di un sistema con meno squilibri nel 2023 hanno subito una battuta d’arresto soprattutto sul fronte della prevenzione dei fenomeni causati dai cambiamenti climatici. Non c’è stato posto del mondo  che non abbia dovuto far fronte a catastrofi di ogni tipo mettendo a nudo la capacità dei governi di saper rispondere. Nel 2024 si svolgeranno elezioni in mezzo mondo con miliardi di persone chiamate a esprimersi anche sulle politiche ambientali.

I leader che vediamo nei vertici internazionali sono, dunque, obbligati a presentarsi agli elettori con idee chiare e programmi trasparenti. I bilanci statali subiranno variazioni in rapporto a quello che ciascun candidato promette di fare. Non è una partita facile e non è scontato che chi vincerà sarà a favore della tutela del pianeta. Se Donald Trump dovesse ritornare alla presidenza degli USA si sa già come andrebbe a finire. Il campione del negazionismo climatico ha fatto scuola, ha avuto successo presso personaggi senza scrupoli che guidano Stati o potrebbero diventarlo.

La divisione tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo resta evidente e nel medio periodo non si attenuerà. L’ultimo Global risk report del World economic forum di Davos dice che la disinformazione e gli eventi estremi saranno i principali fattori di rischio mondiale. Il tempo non sembra essere un buon alleato per preparare le risposte. Le coscienze sono comunque lacerate.

1500 esperti stimano il rischio di catastrofi globali già nei prossimi due anni. Ancora peggio per i successivi dieci anni. Bisogna agire, dicono gli studiosi che hanno esposto alla grande finanza la necessità di  “agire sia nel breve sia nel lungo termine “.

Il punto è questo: l’urgenza di avviare azioni a largo raggio che blocchino il collasso degli ecosistemi. Su questi aspetti  il Global risk registra anche una diversità di opinioni tra giovani e meno giovani. La grande finanza, va detto apertamente,  finora non ha brillato nel sostegno alla transizione energetica. L’Europa si è data il programma più ambizioso di passaggio green , ma la circolarità dei soldi in tale direzione è bassa.

Nel 2023 gli investimenti nelle energie rinnovabili 2023 hanno sfiorato i 400 miliardi di dollari, ma non sono sufficienti né per le economie da riconvertire né per quelle dei paesi terzi. La cautela con la quale si muovono i capitali in direzione della sostenibilità sta diventando strutturale. Qualsiasi traguardo al 2030 o 2050 si sta rivelando irrealistico, dato che beni e servizi vengono prodotti ancora con l’82% di fonti fossili. Le rinnovabili sfiorano appena il 20%.  Quanto e come si correrà nei prossimi anni per ribaltare le percentuali ?

Le relazioni tra eventi climatici ed economia soffrono anche di disinformazione crescente. Strumentale o incolpevole ? Entrambe, a mio giudizio. Coloro che sostengono la separazione tra i due fenomeni negano che buona parte dei mali del pianeta sia stata causata dai comportamenti umani, da uno sviluppo smodato, incurante di accumulare differenze. Gli incolpevoli sono, invece, incompetenti, non hanno colpa di ciò che raccontano, spesso chiusi nella torre dell’autoreferenzialità ,priva di studi e di confronti.

“Molte economie rimarranno in gran parte impreparate per gli impatti ‘non lineari’ del cambiamento climatico” hanno scritto gli esperti di Davos. Dovremmo tutti dargli torto. Purtroppo è un verdetto che riassume l’incapacità dei Grandi e di chi li sostiene di andare nella  sola direzione di salvare il pianeta.