Nel 1978 in Italia viene approvata la c.d. Legge Basaglia dal nome del suo ispiratore, coadiuvato dal deputato democristiano Bruno Orsini, e inizia un’altra storia per il disagio mentale. Una rivoluzione che cambia il modo di vedere e assistere il malato mentale. Non più manicomi creati al solo scopo di tenere fuori dalla società i diversi, diremmo oggi, ma centri sanitari dove aiutare e sostenere le persone con difficoltà psichiche. Si passa dall’isolamento sociale alla centralità della persona e il passaggio tra queste due visioni non fu facile ne’ veloce e costò a Basaglia perfino l’allontanamento dalla cattedra universitaria ma oggi a 40 anni di distanza possiamo dire che quella di Basaglia e di Orsini fu una scelta visionaria, positiva e di grande spessore civile e umano.

Ho fatto questa introduzione perchè, a mio avviso, rispetto al sistema carcerario italiano ci troviamo nella stessa situazione ante legge Basaglia.

E’ necessaria una rivoluzione, una cambio di cultura, forse quel coraggio che manca ai nostri politici, quel coraggio che fece fare alla D.C. una scelta di umanizzazione certamente di matrice cattolica e agli altri partiti di centrosinistra il compimento di una cultura progressista .

Foto di Tracy Lundgren da Pixabay

In primo luogo è ormai certo e noto a tutti come il sistema carcerario sia una fucina di futuri delinquenti, cioè di persone che, stando a stime ufficiose (non esistono stime ufficiali !!!) nel 69% dei casi tornano a delinquere. Non è certo un gran risultato per lo Stato e la società, è la dichiarazione di un fallimento. Altrettanto certo e’ che in presenza di lavoro interno o di misure alternative scendiamo a tassi di recidiva inferiori al 20%. E’ quindi di tutta evidenza che mentre il carcere produce professionisti del crimine, altri sistemi producono effetti che ben possono qualificarsi produttivi di reinserimento sociale. Non investiamo su questo se è vero che i detenuti in Italia che possono lavorare sono il 25% contro una media Europea del 60%. Vi è di più, laddove (vedi Olanda) si sono sperimentate forme di lavoro , studio in condizioni civili si sono ottenuti eccellenti risultati . Interessante a questo proposito e’ lo studio della “Prison reputation : advanced tools of justice in Europe“ ma sarebbe sufficiente leggere gli scritti e l’esperienza di don Gino Rigoldi che ha dedicato la sua vita ai giovani carcerati .

Quindi invece di attrezzarci con gli strumenti che l’esperienza e la dottrina ci offrono noi pensiamo di costruire nuovi carceri e isolare sempre di più i carcerati dalla società e i risultati dannosi e inutili sono sotto gli occhi di tutti.

C’è un ultimo aspetto che reputo importante: il principio di umanità.

Nessun uomo dovrebbe essere sottoposto a trattamenti disumani. E’ umano vivere in pochi metri quadri? Ricordiamoci che l’Italia è stata condannata più volte perchè i detenuti godevano di spazi minori di quelli previsti (7mq !!); è umano vivere la propria esistenza senza nulla da fare? Con condizioni igieniche deficitarie? Con cibo di infima qualità? Con scarsa assistenza sanitaria? Ingerendo quotidianamente psicofarmaci? Spesso subendo violenze? Senza nessuna attività di recupero o reinserimento?

Ecco la nostra cultura ci imporrebbe un immediato e urgente cambio di visione e di progetto.

Foto di apertura: MLucan – Opera propria, CC BY-SA 3.0, commons.wikimedia.org