È da quando l’Unione Europea ha approvato il Green New Deal che nella testa dei cittadini europei il 2030 è visto come anno salvifico. L’anno che segna lo spartiacque da un mondo all’altro. Un nuovo modo di vivere, ovvero di produrre, vendere, consumare, recuperare, riciclare. Nessun essere umano del vecchio Continente sprecherà alcunché, né abuserà del denaro di cui dispone per inquinare o distruggere la natura. In Europa, ribadiamo. Perché fuori da essa non sappiamo. E forse si sta costruendo anche un sovranismo ambientale continentale. Chissà.

Il Moloch più importante che avremo abbattuto entro l’anno salvifico, sarà stato il petrolio. Il carburante principale della rinascita dell’Europa dopo la guerra, sarà stato soppiantato dal ricco campionario di energie rinnovabili. Il senso della misura è ciò che spesso manca alle persone che hanno fiducia smisurata nella speranza. Non si ascolta la scienza, non si studiano dati, non si accetta il confronto e si finisce per negare. Parola già terribile per sé, ma che nel campo della sostenibilità ambientale diventa ambigua. Negano coloro che non credono nei cambiamenti climatici e negano coloro che non credono nella transizione ecologica.


Qualche studio, però, ogni tanto vale la pena leggerlo. Cosa dire, per esempio, di ciò che scrive l’Agenzia Internazionale per l’energia (IEA). Ha appena compiuto 50 anni di attività. É un Ente autorevole ma che vede il 2030 in modo un pó diverso da chi lo avverte come salvifico. La sua ultima analisi sugli scenari energetici dice che nel 2030 la domanda di petrolio toccherà il picco. Entro il 2030 tutto il mondo avrà chiesto più greggio per produrre energia elettrica, alimentare le industrie, sostenere la motorizzazione. La strategia di riconversione marcia in maniera disomogenea con alti e bassi tra interventi politici, business plan delle aziende e guerre commerciali. Vediamo.

Al 2030 mancano sei anni e la decisione europea di arrivare al net zero nel 2050 ha bisogno di uno slancio che, purtroppo, non c’è. La domanda di petrolio cresce per produrre beni e servizi, soprattutto nei paesi industrializzati. La catena del valore del greggio e quella dei bisogni di famiglie e imprese camminano insieme, nonostante il secondo produttore di petrolio al mondo- l’Arabia Saudita- abbia deciso di non aumentare la produzione. La società di Stato Saudi Aramco, cassaforte della monarchia del Golfo, non andrà oltre i 12 milioni di barili al giorno. Una produzione altissima (dopo gli Usa) che ci fa capire con quanto impegno (sic!)le economie pensino a riconvertirsi. Tra quelle economie ci sono anche quelle europee.

 Il 2023 ha registrato il 44% dell’energia elettrica europea prodotta da fonti rinnovabili. La confusione si fa grande sotto il cielo: a chi credere? Ai dati green dell’Ue o alle previsioni dell’Iea? Qualche commentatore ha visto nell’annuncio dell’Arabia Saudita una manovra speculativa sul prezzo del petrolio. Niente di nuovo. I produttori giocano la solita partita in dollari, sapendo che al pubblico non interessa chi vince. Qui interessa capire l’idea di transizione e di sostenibilità che circola in Europa. Quanta capacità e forza c’è per scalzare il primato della fonte di energia più inquinante. Il Green New Deal potrebbe avere contraddistinto soltanto una stagione politica per poi assistere all’ascesa di organizzazioni orientate a conservare piuttosto che a innovare. In soldoni, le politiche di sostegno alla transizione continueranno o basterà andare a Bruxelles con carri trainati da cavalli per chiedere più petrolio? La protesta dei trattori, tristemente, insegna.