Il cammino non è facile, seppure ben tracciato. Per salvare il pianeta dai mali che lo affliggono non c’è più carta (?!) per scrivere ricette. Laboratori disseminati in ogni parte del mondo hanno detto cosa bisogna fare. Solo che l’urgenza con la quale è necessario agire è finita nel campo note. Come in un qualsiasi manuale scientifico. Eppure quelle note dell’immaginario manuale i Grandi della terra le hanno lette. Almeno dalla Conferenza sul clima di Parigi del 2015.

Dal 31 ottobre al 12 novembre capi di stato e di governo si ritroveranno a Glasgow in Scozia alla Cop26 per cercare di ripartire. Riannodare i fili di una strategia che da Parigi in avanti ha contato più insuccessi che meriti. Una matassa srotolata sulla strada della salvezza planetaria dove alla fine ci sono obiettivi alti. Azzerare le emissioni nocive al 2050 e controllare l’aumento della temperatura a 1,5 gradi, in primo luogo. Italia e Regno Unito sono i Paesi organizzatori dell’evento. Ma sono anche quelli da cui ci  aspettiamo i contributi più efficaci. Che onorino l’impegno di avere  intorno allo stesso tavolo i decisori delle sorti della terra.

Glasgow, ha detto Papa Francesco, “è chiamata con urgenza ad offrire risposte efficaci alla crisi ecologica senza precedenti e alla crisi di valori in cui viviamo”.  Ad offrire concreta speranza alle generazioni future”. Chi non condivide un appello del genere ? Lungo il percorso al 2050 diventa un’ esortazione a fare. Il Papa non poteva distinguere e separare le responsabilità dei singoli, che pure ci sono. Ha parlato a tutti mentre noi assistiamo all’ennesimo paradosso della turbo economia: una sfrenata corsa alle energie fossili– gas e petrolio- per sostenere la ripresa post Covid. Sarebbe stato tutto meno complicato, se le economie forti avessero puntato – avendole a disposizione – sulle energie rinnovabili. Ma cosi’ non è. Si investe (non ancora abbastanza) su solare, eolico, idrogeno verde, ma i motori della ripartenza in Usa, Cina, Germania, Giappone, India, girano con le fonti tradizionali.

Per raggiungere gli obiettivi più ambiziosi i Paesi sviluppati dovrebbero investire almeno 100 miliardi di dollari l’anno. A Glasgow questo annuncio riecheggerà ancora una volta. Al 2030 nessuna economia dovrebbe essere più alimentata dal carbone. Le rinnovabili e la mobilità elettrica dovrebbero caratterizzare le grandi e medie città. I Paesi che hanno distrutto foreste e biodiversità dovrebbero fare rapida marcia indietro per assicurare al pianeta di respirare e alla natura di riequilibrarsi. Cop 26 si farà carico di tutto questo e non vogliamo immaginare un flop. L’organizzazione ha ricordato che dal 2015 esiste il Libro delle regole per rendere operativo l’Accordo di Parigi”. I giovani che protestano in tutto il mondo e si sono ritrovati anche a Milano per la Pre Cop26, restano critici. Se il summit dovesse fallire non deluderebbe solo le loro aspettative, ma quelle di una metà di mondo che non vuole lasciare dietro di se un deserto fisico, culturale, morale. Altri padri sono stati di cattivo esempio nella storia. Ma nessuno ha distrutto completamente il mondo in cui viveva.