Sono venti suicidi, un numero in crescita purtroppo rispetto allo scorso anno. È uno stillicidio. Un suicidio ogni 60 ore, nelle carceri italiane. Da ultimo, in 24 ore si sono tolti la vita due detenuti: martedì sera, a Pisa, una persona sottoposta a regime di semilibertà, e ieri mattina a Lecce un detenuto dell’alta sicurezza.  Sul carcere, invece assistiamo ad un immobilismo preoccupante.

Eppure, ci sono misure che potrebbero alleviare subito la morsa di chi è recluso e si sente isolato e abbandonato dal mondo: «Ancora una volta Sbarre di zucchero cerca di accendere una luce su questo dannoso problema, chiedendo interventi urgenti e immediati per ridurre il peso della popolazione detenuta negli istituti, garantire una maggiore apertura nelle carceri e garantire una presenza di personale in linea con le esigenze».  Vorrei dire alcune cose in merito alla persona che si è suicidata al carcere di Pisa, si trattava di un detenuto “sottoposto al regime di semilibertà, ossia aveva la possibilità di trascorrere parte del giorno fuori dall’istituto per poter espletare l’attività lavorativa. Era rientrato in istituto nel primo pomeriggio adducendo che non si sentiva bene. Il reparto dove sono ristretti i ‘semiliberi’ è all’interno dell’istituto ma staccato dalle sezioni detentive e considerato il regime detentivo più libero, non vi è una presenza stabile del personale di Polizia. Nel primo pomeriggio il personale si recava nel reparto per prelevare il ristretto ed accompagnarlo alla visita dal medico e lo trovava impiccato con un lenzuolo nel cortile dei passeggi. Sono stati inutili i tentativi di soccorso da parte del personale di Polizia penitenziaria e dei sanitari. Un detenuto che decide di togliersi la vita è sicuramente una sconfitta per le istituzioni e non sono chiare le motivazioni di tale gesto considerato sia il regime meno afflittivo della semilibertà a cui era sottoposto nonché il fine pena al 25 febbraio 2027. Questo dovrebbe far riflettere tutto il personale che lavora in Istituto, non sappiamo il motivo del gesto, ma sicuramente la persona in oggetto aveva la possibilità di contatti con il mondo esterno, anche se lavorava per una cooperativa forse non si sentiva accettato dalla società, forse aveva percepito che la situazione fuori stava mutando e lui non era più sicuro. Ci sono molte domande a cui è difficile rispondere, ma se anche un detenuto che è in semilibertà decide di suicidarsi il sistema carcere è fallito.

Si continua a parlare se ci sono azioni da intraprendere per poter evitare tale gesto estremo, il suicidio è sicuramente un evento imprevedibile; pertanto, se una persona decide di suicidarsi prima o poi troverà il modo di farlo. Il problema è preventivo, non successivo.

Con il passaggio della sanità penitenziaria alle Regioni, la situazione è purtroppo estremamente peggiorata, la carenza di operatori sanitari, psicologi e psichiatri è il punto cruciale della questione. A nostro avviso servono assunzioni di personale sanitario da destinare esclusivamente alle carceri, chiunque, ma soprattutto chi ha ruoli di responsabilità politica ed istituzionale, ognuno per quanto di competenza per delega ministeriale, dovrebbe andare in carcere per vedere in che situazioni lavorano i poliziotti penitenziari e tutto il personale specializzato. L’ennesimo suicidio di un detenuto in carcere dimostra come i problemi sociali e umani permangono: è il suicidio di un detenuto rappresenta un forte agente di stress per gli altri detenuti.

Foto di apertura di Evgeni Tcherkasski da Pixabay