Mi hanno colpito alcune notizie riguardanti la scuola in Giappone. I ragazzi puliscono la loro scuola, non ci sono bidelli; indossano uniformi che non distinguono tra i più ricchi e i meno fortunati; non possono portare cellulari in classe; gli zaini sono standard per non affaticare la colonna vertebrale; tutte le scuole offrono numerosi club che promuovono attività sociali; leggono due romanzi al mese e nei primi anni non ci sono voti, solo valutazioni che includono gentilezza e educazione.

Tutto ciò evidenzia l’attenzione e l’importanza che lo Stato dà alla scuola. Non è così da noi. È fondamentale, a mio parere, avere insegnanti qualificati, ma è ignobile il trattamento economico che ricevono, mentre questo governo si preoccupa della percentuale di stranieri nelle classi riducendo la spesa per l’istruzione.

Ma ciò che mi preoccupa di più è lo stato di conoscenza degli studenti e non solo. La scuola sembra orientata sempre più verso conoscenze tecniche e tecnologiche a scapito delle materie umanistiche, creando una gioventù sempre più ignorante e priva di senso critico, limitandosi a essere solo consumatori anziché cittadini consapevoli.

Vivo questa realtà in Asia, dove la tecnologia è diffusa ma la conoscenza del passato, del presente e del futuro è scarsa, creando una società di consumatori invece di cittadini consapevoli. Ma vedo la stessa tendenza anche in Europa. Forse non comprendiamo appieno l’entità di questo problema: stiamo educando una generazione di giovani completamente ignari del loro ruolo, privi di senso critico ma abili nell’uso degli strumenti tecnologici. Che faremo dell’intelligenza artificiale se non comprendiamo la dimensione culturale del mondo?

Il nostro progresso si è basato su scoperte scientifiche e tecnologiche, guidate da persone con una visione globale del mondo. E adesso? Rimaniamo nelle mani di consumatori ubbidienti? Non vedo una via chiara verso la soluzione di questo dilemma.