Quando i vetturini delle carrozze a cavalli si trovarono dinanzi alle prime automobili, certamente esclamarono: “Dove andremo a finire!” Quando dissi a mio padre che il latino era stato praticamente escluso dall’insegnamento del ginnasio, mi rispose subito che era una grande perdita perché il latino insegnava a ragionare, a concatenare la frase.Ogni volta che assistiamo a un grande cambiamento, nei nostri costumi, nella nostra vita, nella nostra storia, esso ci spaventa, e in molti continuano a pensare che in fondo si stava tanto meglio prima, nel vecchio e tranquillo mondo andato. È forse questa nuova definizione inglese, quella di influencer, a fare in qualche modo paura, ma soprattutto è il potere di questi operatori di Internet a creare preoccupazione. Del resto è comprensibile che molti anziani, vecchi intellettuali o vecchi tromboni, si preoccupino che una signora che pubblicizza prodotti di bellezza femminile, un bel giorno si metta a promuovere un partito politico, un movimento o addirittura critichi l’uso dei vaccini. Molti cambiamenti avvengono, sono sempre avvenuti nella storia, ma oggi si susseguono molto più rapidamente, e non ci permettono quindi di valutarli subito, di capirli, di digerirli, di controllarli. Ho già detto, parlando di Chiara Ferragni, che ammiro moltissimo questi nuovi operatori del marketing, che per primi hanno saputo utilizzare i nuovi strumenti, Internet e i social media, per fare un mestiere già molto conosciuto, nato con la pubblicità. Ho già ricordato la bellissima serie televisiva Madison Avenue Man (Mad Men), che racconta magnificamente la storia della nascita dei pubblicitari americani negli anni ’50. Tutti quelli che hanno la mia età ricordano i piccoli video di Carosello, prima di mandare i bambini a dormire. Attori, sportivi e volti noti comparivano sui cartelloni pubblicitari agli angoli delle strade, negli spot televisivi, e al cinema, prima della proiezione di film. Nessuno se ne è mai meravigliato, perché era chiaro a tutti che un prodotto o un servizio dovessero essere fatti conoscere, la pubblicità faceva crescere l’economia di un paese. Gli influencer fanno la stessa cosa: pubblicizzano prodotti per l’igiene della casa, per la bellezza delle donne, per la crescita e la salute del corpo, vestiti, scarpe, attrezzi sportivi e tantissime altre cose. Però lo fanno in un modo molto diverso dai vecchi cartelloni pubblicitari o dagli spot televisivi. Lo fanno attraverso la galassia degli strumenti posti a disposizione da Internet e dai social media. Grazie a questi nuovi mezzi non solo si possono raggiungere molte persone, ma si possono identificare meglio i clienti potenzialmente interessati ai messaggi. Siccome io possiedo un acquario, ricevo regolarmente la pubblicità per cibi per pesci o per gli additivi che servono a favorire la crescita delle piante. Gli algoritmi sanno sempre più di me, dei miei comportamenti, di quello che mi piace leggere, ascoltare o vedere. Gli specialisti del settore chiamano questi procedimenti “profilazione”. E ci mostrano tutti i problemi, addirittura gli orrori, che questa tecnica potrebbe causare a tante persone. Però, in questo modo, qualcuno che necessita di scarpe ortopediche particolarmente sofisticate, è in grado, in qualche minuto, di sapere chi le produce e quanto costano. Sempre in poco tempo posso conoscere l’opinione di diversi scienziati per quanto riguarda, per esempio, l’utilità e l’efficacia di una terapia contro una malattia che mi affligge. Come dire che ogni strumento, ogni nuova tecnica, può essere utilizzata per fini che consideriamo positivi o negativi. In un grande magazzino posso comprare un banalissimo coltello, per poterci tagliare il prosciutto, ma posso anche ucciderci qualcuno. Un’automobile può servire a un giovane per andare tutti i giorni al lavoro in orario, ma può anche utilizzarla per fare bravate sulla strada che possono costare la vita a qualcun altro. Vogliamo proibire i coltelli e le automobili? Che l’uso di ogni strumento, di ogni tecnologia, abbia bisogno di essere gestito, controllato, perché lo si usi senza danneggiare nessuno, mi sembra banale. Il problema è che è molto più difficile farlo con le tecnologie degli algoritmi e dell’intelligenza artificiale, che si muovono ad una velocità che la politica, i legislatori, non riescono in alcun modo a seguire. Anzi, i moltissimi studi che stanno apparendo, proprio sull’intelligenza artificiale, mi provocano un sorriso: quando saranno pubblicati, questo incredibile strumento tecnologico sarà già andato talmente avanti da renderli inutili ed obsoleti. Allora non possiamo fare niente? No, possiamo certamente mettere a punto adeguati strumenti di controllo della profilazione e delle fake news, che però dovrebbero essere molto più orientati all’informazione, all’educazione degli utenti, piuttosto che all’irrogazione di pene che sarebbero sempre molto difficili da applicare. Possiamo tentare di attaccare, e magari proibire, Twitter, Tik Tok, o Instagram, ma ho l’impressione che sarà sempre una di quelle battaglie di retroguardia che non hanno mai portato da nessuna parte nella storia. Abbiamo proibito le bombe a grappolo e le mine anti-uomo, ma i deludenti risultati sono davanti agli occhi di tutti noi. Ritorniamo piuttosto ai nostri influencer. Ai politici, agli intellettuali, e a molti vecchi tromboni, secca moltissimo che a qualcuno che pubblicizza nuove ricette per la cucina, scarpe per le ragazze, o come fare ginnastica per mantenersi in forma, a un certo punto sia permesso di parlare di politica, o addirittura di criticare l’insegnamento scolastico come ha fatto recentemente in un suo post una di loro, Beatrice Valli, che si è permessa di dire che ai nostri bambini la storia dei Sumeri non interessa affatto. Come si è potuta permettere questa signora, che si occupa di prodotti di moda, di criticare i programmi dell’insegnamento scolastico? Ci si poteva aspettare la feroce reazione, le fortissime critiche che ha sollevato presso i professori della storia antica, che giustamente difendono il valore di studi che hanno condotto durante anni di qualificatissimo e faticoso lavoro. Sì, nel salotto di casa mia, ospiterei molto volentieri una riunione di intellettuali, educati da sempre all’importanza della storia e della cultura. Sarei felice di ascoltare qualcuno che sapesse leggere la scrittura cuneiforme e mi parlasse di quell’antichissimo popolo che l’ha inventata. Ma che ai bambini di oggi serva di sapere tutto dei Sumeri, questo è un altro paio di maniche. I bambini e i giovani di oggi, è vero, dovrebbero essere maggiormente informati della storia moderna, e di quell’attuale, perché saranno loro a doversi confrontare con i nostri grandi problemi, come la difesa dell’ambiente, o il riaffacciarsi delle guerre, che avranno un impatto molto più diretto sulla loro generazione. Allora dobbiamo cacciare i Sumeri dai libri di storia, o dobbiamo anche cancellare la storia greca, l’impero romano, le crociate? L’insegnamento della storia, come quello di tante altre materie, si basa su libri fatti di capitoli e paragrafi, e non è detto che ai Sumeri non possa essere riservato un paragrafo, invece che un capitolo. Altre importanti materie, come quelle scientifiche, la fisica, la matematica, non possono e non devono trascurare l’evolversi dei tempi. Dedicherei invece molti capitoli all’Illuminismo, all’umanesimo, alle guerre mondiali, quelle attuali, e alla nascita delle democrazie e dei diritti umani. Infine mi infastidisce il disprezzo per quelle persone, gli influencer, che vivono il nostro tempo, si servono degli strumenti oggi disponibili, e, soprattutto, parlano linguaggi comprensibili a tutti, quei linguaggi ai quali moltissimi politici, intellettuali e professori, hanno da tempo rinunciato, per rinchiudersi nelle loro consorterie, nelle loro cricche di iniziati, spesso disinteressati a parlare con la comunità umana che li circonda. Se gli influencer parlano, con la necessaria semplicità – superficialità se volete – dei tanti problemi che oggi ci affliggono, non bisognerebbe soltanto stracciarsi le vesti, ma forse cercare di capire l’aria dei tempi, scendere dalle cattedre, e tentare di esprimere concetti più profondi e complessi con linguaggi semplici e comprensibili. Socrate, Platone ed Aristotele erano certamente degli influencer, come anche Confucio, Maometto e Gesù, ma non avevano una pagina Facebook, Instagram o TikTok. Noi che siamo i figli della cultura dei Sumeri, dei greci e dei romani, forse dovremmo fare uno sforzo per fare in modo che le cose che abbiamo imparato vengano rese disponibili, ma anche utili, a tutti coloro che vivono in un mondo così profondamente cambiato, e non per lasciarli ignoranti, ma perché il loro sapere sia utile ai tempi che vivono.