Cominciamo con lo 0,7, ovvero la percentuale del Prodotto Interno Lordo (PIL) da destinare all’Aiuto Pubblico allo Sviluppo (APS). Un impegno che i Paesi donatori, Italia compresa, sottoscrissero nel 1970 all’ONU e che, da allora, viene puntualmente confermato in ogni dichiarazione pubblica. Era stato appena adottato quando i ragazzi del “Tutti” fondavano il Centro Giovanile per la Cooperazione Internazionale (CEGI), l’Associazione Italiana della Gioventù Europea (AIGE) ed il Comitato Italiano Giovani per l’Unicef. C’era Pedini Sottosegretario agli Esteri e si volevano emulare i Peace Corps creati dall’Amministrazione Kennedy. Si diceva, il nuovo nome della pace è sviluppo.

Da allora, l’obiettivo dello 0,7% è stato largamente disatteso, pressoché ovunque (attualmente solo Norvegia, Svezia,  Danimarca, Lussemburgo e Regno Unito lo rispettano). Molto è stato fatto nel frattempo per accompagnare a questo dato quantitativo una serie di parametri metodologici e qualitativi che permettessero, anche in presenza di risorse che non crescevano al ritmo sperato, di migliorare l’efficacia e la trasparenza dell’aiuto. Soprattutto il così detto slegamento, per evitare che il tutto si riducesse a poco più della sovvenzione di esportazioni senza mercato.

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In quest’ottica, si è lavorato anche per ammodernare la definizione di APS, senza snaturarne il senso. Per esempio, calcolando il grado di liberalità (cioè lo spostamento dai tassi di mercato) per i così detti crediti d’aiuto, che sempre più affiancano i doni e permettono di finanziare progetti su larga scala ed opere infrastrutturali, vitali per garantire lo sviluppo sostenibile. Soldi che responsabilizzano chi li riceve, perché sia pur a lungo termine, li dovrà restituire. Sempre più si parla di partenariato e si punta a premiare in particolare i Paesi che si assumono oneri straordinari in termini di accoglienza dei rifugiati.

Tutto ciò è molto bello, implica maturità nella cooperazione. Ma, come si dice in Toscana, “senza lilleri, ‘un si lallera”. Lo 0,7% sarà poco più di un totem ma rimane un punto di riferimento ineludibile, la dimostrazione della serietà dell’impegno a gestire insieme un mondo squilibrato ma in rotta per un destino condiviso.

E allora, senza dimenticare le tante cose buone che si fanno con i pochi fondi disponibili, pensiamo almeno a rendere più realistico e credibile l’impegno che continuiamo a sottoscrivere. Partendo da una promessa: almeno non arretrare nella percentuale APS/PIL, indietro non si torna. Come invece è successo spesso, nei decenni e negli anni passati. Se si guardano le statistiche, sembrano quasi montagne russe, non una lenta e faticosa scalata.  Non ci devono essere congiunture, per quanto negative come l’attuale, nelle quali invocare un “sacro egoismo” che ci dispensi dai vincoli della cooperazione internazionale. Sarebbe una miopia che ci porterebbe a sbattere ancor di più.