Il Recovery Fund pone diversi interrogativi primi fra tutti chi gestirà le somme e redigerà i progetti.

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Il presidente del Consiglio, in corretta solitudine, ha deciso di coinvolgere, a diverso titolo e obbiettivi, giganti mondiali come McKinsey, Ernst & Young, Pwc, Accenture, con il mandato limitato all’impatto delle proposte sulla Società in termini di ricchezza reale. Molti vi hanno visto un giudizio di inadeguatezza della nostra pubblica amministrazione, cui aggiungo la permeabilità, e la preferenza per investimenti produttivi volti all’ammodernamento tecnologico. Nessun dubbio che gli obbiettivi terranno conto del livello di vita di moltissimi Italiani, sceso pericolosamente sotto la soglia di guardia. Le polemiche sono dietro l’angolo perché l’idea di dove e come vada cercato il punto di equilibrio fra sviluppo e solidarietà, in termini di Libertà ed Uguaglianza, è fortemente divisivo.

In URSS, durante il settantennio comunista, i marinai imbarcati sui sommergibili sovietici erano nelle stesse condizioni dei contadini di Lenin e degli operai di Gorbacév, non sapevano cosa fare con le disponibilità economiche assicurate dalle loro posizioni. Non c’era nulla da comprare. Tra loro ed i contadini medioevali che erano riusciti ad occupare le terre, non c’era grande differenza (basta leggere Adam Smith. La ricchezza delle nazioni. Newton Compton Editori Roma 2005 p. 345). Questa condizione fece perdere tensione produttiva e, con la stagnazione economica, arrivò l’inquietudine sociale. La prosperità non demoralizzava gli operai come sembrava intendere Togliatti traducendo il Carl Marx di Lenin (Einaudi Rinascita Roma 1950 p. 47).

Nella Repubblica Sovietica Federale Socialista Russa l’insofferenza e lo sciopero costituivano attentati contro la produzione nazionale (art. 58 del codice penale del 25 febbraio 1927) e Stalin rispose con purghe e gulag. Nel 1990 i tempi erano cambiati e Gorbacév vide implodere la Patria dell’uguaglianza formale assoluta.

Sull’antinomia Uguaglianza / Libertà il dibattito è senza sosta da quando le ideologie su cui poggiarono gli opposti esiti istituzionali dei movimenti rivoluzionari del XX secolo (quelli che certa storiografia ha dichiarato eventi/archetipo di un unico periodo) le assunsero a rispettive monadi.

L’errore interpretativo, di tutti, fu mettere a confronto condizioni eterogenee e concludere di dover sacrificare l’una all’altra perché la loro convivenza equilibrata era impossibile. Eppure si sapeva che lo squilibrio verso la libertà porta all’anarchia dei valori e alla rivoluzione degli esclusi, quella verso l’Uguaglianza all’annullamento dell’autogratificazione individuale e all’abulia collettiva.

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La Società moderna, nel suo evolvere, è come se camminasse su una fune sospesa a svariate decine di metri da terra; se si sbilancia deve correggere la posizione per non frantumarsi a terra. A questo scopo i funamboli usano i pesi collocati alle estremità di un bilanciere, i quali allungano il tempo per recuperare la posizione giusta. La Società è costretta a qualcosa di simile.

Le norme espressione dei valori, concordemente interiorizzati dai componenti di un gruppo, costituiscono il bilanciere che la Società impugna mentre cammina sul filo della convivenza pacifica sopra il burrone di anarchia e rivoluzione. Ai suoi estremi stanno Uguaglianza e Libertà, il cui peso specifico è diverso per cui le rispettive masse devono essere diverse se si vuole mantenere l’equilibrio grazie all’identico peso sulle estremità del bilanciere.

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A differenza della Libertà, l’Uguaglianza è non difatti condizione “naturale” dell’Uomo perché origina dalle scelte culturali delle singole Società. In alcune ad esempio l’archetipo della disuguaglianza è la Povertà, considerata un evento culturale da rimuovere perché limita proprio la libertà individuale (Amartya Sen lo spiega con maestria ne La libertà individuale come impegno sociale Editori Laterza Roma Bari 2007 p. 23 ssgg).

La tesi è condivisibile ma ha un critico molto autorevole, J. J. Rousseau (Origine della disuguaglianza. Giangiacomo Feltrinelli Editori Milano 2009 p 70 ssgg 78, 83, 85, 70, 78).

Verrebbe da aggiungere John Rawls (Una teoria della giustizia Feltrinelli Editori Mi 2009 p. 108, 29, 106, 110, 111, 113) se non fosse che principi di “differenza” e “giustizia equa” si limitano a modernizzare l’incipit del primo sugli uomini, i quali nascono uguali ma lo restano solo finché vivono da soli.

Una volta che iniziano a vivere insieme -riflette Rousseau- gli uomini si confrontano e, automaticamente, in ciascuno, sorge il desiderio di superarsi (l’invidia) spesso per emulazione (invidia positiva) molte di più per antagonismo (invidia negativa). La passione per il confronto -continua Rousseau- è incontenibile e rende impossibile tenere a bada le tensioni sociali che fomenta per cui si rende necessaria un’autorità superiore che fissi regole allo stare insieme. Ma le Istituzioni -conclude- garantiscono, sì, la convivenza pacifica ma, di più, moltiplicano le disuguaglianze, aumentando le tensioni.

La tesi di Rousseau (come molto dopo di Rawls) impone all’uomo una grande rinuncia: il rifiuto di ciò che ci ha resi quelli che siamo diventati da quando erravamo, in solitudine, per foreste e pianure, mi riferisco alla negazione della “unicità umana” delle invenzioni (artefatti e mentefatti) con l’inevitabile conseguenza di relegare il talento a qualità per il quale il possessore deve pagare dazio. Inoltre è lo stesso Rousseau ad aprire una crepa nell’incipit da cui muove quando, con riferimento alla “naturalità” dell’Uguaglianza, afferma che Natura distribuisce disuguaglianze fisiche e spirituali fra gli individui senza ordine né giustificazione e la convivenza non fa che aumentarle.

C’è dunque ragione al perché il dibattito sull’antinomia sia tutt’ora al calor bianco.

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Di Uguaglianza e Libertà non si riesce a parlare senza pregiudizio e timore, tantomeno si può discutere della in-naturalità neuropsicobio-logica della Uguaglianza tra gli uomini, i quali nascono, sì, tutti uguali ma in quanto esseri viventi ma non altrettanto in quanto singoli individui. Il detto «tutti gli uomini nascono uguali» è un’iperbole e non descrive una condizione di fatto ma il prodotto dell’empatia che l’Uomo prova per i simili la quale induce in lui inclinazioni, psicobio-logiche e culturali (gen-etiche?) che ci fanno identificare noi stessi in ciascuno di tutti gli altri. Tornando alla questione dell’equilibrio cui il Recovery andrà ispirato, sarebbe ottima premessa concordare, da un lato, che il Progresso fa lievitare le disuguaglianze naturali perché non siamo ancora capaci di utilizzarlo per soddisfare le nostre esigenze senza lasciare che ne induca di nuove; dall’altro che non siamo nemmeno ancora capaci di imporre vincoli, su larga scala, a favore dell’Uguaglianza senza mortificare il talento e la Libertà individuale grazie a cui si esprime.

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