La struttura assistenziale dalle cui vicende l’articolo trae spunto è l’Associazione Loic Francis Lee OdV, che vicino Roma (Capena), gestisce un centro diurno, due case famiglia ed una falegnameria terapeutica. Per maggiori informazioni si può visitare il sito www.associazioneloic.org, ove con pochi click nella sezione “Come sostenerci” è possibile inviare una donazione.

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Se quella del Covid è una battaglia, allora questa è una testimonianza da uno dei tanti fronti di combattimento. La pandemia ha modificato la vita di tutti noi in modo profondo e non è scontato pensare che le cose non saranno più come prima. L’associazione di assistenza diurna e residenziale ai disabili mentali nella quale sono coinvolto è stata investita, come tutti, persone e imprese, in un vortice di eventi che ne hanno travolto il quotidiano fluire di lavoro, opere, abitudini, ricorrenze stagionali, incontri, fatti che oggi nella perdurante impossibilità di riaverli, ricordiamo con nostalgia. Un recente studio campionario degli enti del nostro settore alle prese con la pandemia ha rilevato che nel 79% dei casi le entrate si sono ridotte in maniera significativa (38%) o dimezzate (48%). Quasi tutti gli enti (90%) hanno dovuto dimezzare o chiudere le attività durante il primo lockdown.

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La chiusura del centro diurno – imposta per normativa statale/regionale con obbligo di mantenere i posti degli assistiti e dei dipendenti – è qui durata per 4 mesi. Poi si è potuto riaprire, ma con orario ridotto e altre restrizioni, perdendo contributi ed utenti. Le case famiglia per contro hanno funzionato H24 senza interruzioni e questo, oltre a massimizzare l’assistenza ai disabili del settore residenziale e alle loro famiglie, ha permesso di limitare al minimo il ricorso alla CIG, attenuando l’impatto della crisi sui collaboratori.

Durante il giorno si sono replicate nelle case famiglia, per quanto possibile, le attività del centro diurno: il giardinaggio, la tessitura su alcuni telai, la cucina, le attività musicali e artistiche. Diversa la sorte dei disabili rientrati nelle loro case, per i quali purtroppo nulla si è stati in grado di fare, con una grave interruzione dal punto di vista psicologico di rapporti interpersonali indispensabili.

Dopo vari mesi di chiusura totale l’attività del centro diurno, fulcro della nostra comunità, è ripresa nel mese di luglio con modalità diverse, imposte dalle autorità sanitarie e di governo per tutelare al massimo la salute delle persone, e già ampiamente illustrate in comunicazioni e contatti con le famiglie.

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Inevitabile il sorgere di vertenze con la pubblica amministrazione sul pagamento dovuto per il periodo di chiusura imposta, frutto di normative che incorporano il virus del dubbio interpretativo sulla fattispecie del “non fatto come fatto” nel concreto caso di un servizio pubblico convenzionato. Non sappiamo dirlo in latino, ma come sempre “a saper bene leggere le grida, nessuno è reo e nessuno innocente”. Chiediamo perdono al paziente lettore, ma senza i soldi l’assistenza ai fragili non si riesce a fare. Sotto il profilo della gestione assistenziale il personale medico, sociosanitario e amministrativo si è impegnato al massimo, superando momenti davvero critici, se non altro perché presentatisi per la prima volta quasi sempre senza preavviso, e tutti sono stati chiamati a fornire risposte immediate nei rispettivi ambiti, senza avere certezza sugli esiti finali.

Specificamente sul piano della gestione delle risorse umane e degli adempimenti burocratici il succedersi di interventi normativi a pioggia, spesso non bene definiti e non definitivi, e la preoccupazione di evitare contagi hanno richiesto di assumere decisioni in un clima di indeterminazione. Comunque, sia nella prima che nella seconda ondata gli obiettivi filantropici sono stati tenacemente perseguiti pur se qualche fenditura si è aperta nella parte economico-finanziaria. A metà anno è stato rinnovato, dopo ben 14 anni di attesa, il contratto nazionale del personale della sanità privata, soldi meritatissimi, ma anche maggiori costi da assorbire in un momento critico.

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Un anno difficile, dove sono emersi valori nascosti della capacità operativa nel senso più ampio (dall’assistenza, all’amministrazione, alla riparazione veloce delle buche e delle tubature) ma si sono ristrette, speriamo non inaridite, le fonti delle risorse economiche essenziali alla continuità aziendale. Non sarà facile ripristinarle ai livelli fisiologici degli anni precedenti, ma questo è l’impegno di tutti, specialmente dei volontari rimasti in buona parte bloccati nelle loro consuete iniziative di supporto alle attività di promozione e di raccolta fondi. Sollievi temporanei sono venuti da donatori privati, persone fisiche o enti, in alcuni casi nemmeno da noi sollecitati, e da qualche rinvio di imposte dall’anticipo del 5 per mille atteso.

Che fare adesso? Stavamo facendo delle cose importanti e difficili, ora dovremo sacrificare i progetti più ambiziosi e riuscire a risalire sulla barca capovolta, che è poi il significato etimologico del termine resilienza. Un peccato doversi fermare.

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