Un paziente su tre colpito dal virus ha accusato disturbi psicologici

Presentati a Milano i risultati del progetto COndiVIDi, ideato da Coirag

Il Covid lascia il suo marchio non solo nel fisico, ma anche nella mente. E di questo pare che i governi non se ne occupino proprio. Eppure i segnali non mancano: fobia di ammalarsi uscendo di casa, insonnia, convivenza forzata in spazi ristretti, famiglie spezzate, la speranza di un anno fa di uscire rapidamente dal tunnel della pandemia che cede all’angoscia, al disorientamento di oggi. L’impossibilità di progettare il proprio futuro, di prevedere il domani hanno provocato un trauma in molti, costretti all’isolamento sociale durante il lockdown.

Foto di Ulrike Mai da Pixabay

Un recente studio pubblicato dall’autorevole The Lancet psychiatry ha dimostrato che un paziente su tre malato di Covid-19 ha accusato disturbi mentali o psichiatrici entro sei mesi dall’inizio della malattia. Su oltre 230 mila pazienti monitorati, in gran parte statunitensi, è emerso che al 34 per cento dei soggetti colpiti dal virus sono state diagnosticate patologie neurologiche o psichiatriche di vario genere. Ansia e disturbi dell’umore, soprattutto, ma non sono mancate, tra i ricoverati in ospedale, anche forme di demenza e ictus.

«Improvvisamente, dal marzo 2020, è cambiata la nostra modalità di stare al mondo, abbiamo assistito ad un ribaltamento, ad un angosciato e attonito stand-by generale che ha portato al disorientamento», afferma Michele Benetti, psicologo psicoterapeuta del Coirag di Milano (Confederazione di organizzazioni italiane per la ricerca analitica sui gruppi) che ha lanciato il progetto di ricerca-intervento “COndiVIDi – Incontrarci a distanza”, firmato insieme con Stefania Bruzzese, Cristina Corona e Claudia Palazzoli.

Il progetto è nato dall’intuizione di questi psicoterapeuti che hanno colto subito il bisogno di uno spazio in cui portare le domande, confrontare i diversi vissuti e dare un senso ad un momento di cambiamento e rottura di schemi mai vissuti in precedenza.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Anche gli psicoterapeuti e i loro pazienti hanno dovuto fare i conti con il Covid-19. «Ci siamo resi conto subito di un bisogno evidentemente non ancora espresso», spiega Cristina Corona. «Sono arrivate così quattrocento richieste di intervento da parte di professionisti, psicoterapeuti, insegnanti, studenti, tirocinanti. Siamo riusciti ad accogliere 131 partecipanti suddivisi in sedici gruppi coinvolgendo diciassette conduttori». Naturalmente tutto on-line, che in quel momento poteva sembrare un’incognita, qualcosa di inedito da esplorare con attenzione, per un professionista che lavora piuttosto sulla parola, sullo sguardo, sulle emozioni espresse dal suo paziente.

Ma la risposta è stata sorprendente. Il progetto ha preso forma in tempi rapidi, è durato tre settimane, un periodo in cui i partecipanti hanno attraversato anche momenti di confusione, di rabbia, di vero disagio interiore cercando, tuttavia, un modo nuovo per adattarsi e attivarsi. L’isolamento e il rallentamento delle attività ha generato, sul piano psicologico e relazionale angosce legate alla salute, alla precarietà, al timore della perdita. Ma nella socialità annullata, o limitata, è stato possibile trasformarla attraverso l’incontro online.

«Il lavoro in gruppo, sia pure a distanza, ha permesso di mettere in moto quanto era bloccato nelle emozioni, ha offerto ai partecipanti una possibilità di condividere nella stessa stanza zoom il proprio vissuto con altri e non in solitudine, ha dato un aiuto a mettere insieme i pezzi» è il parere di Claudia Palazzoli.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

In un primo momento è uscito forte il timore della morte, riassunto in quella drammatica immagine dei camion militari che lasciavano Bergamo di notte per trasferire altrove le bare. «Poi – aggiunge Corona – è emersa la paura per il futuro di ciascuno: che ne sarà di noi? come ne usciremo? Ma il gruppo, al proprio interno, ha consentito di incrociare racconti diversi, di offrire un sostegno alle difficoltà, perché nella solitudine c’è sempre la necessità di parlare con qualcuno, di confrontarsi».

Ne usciremo con una maggiore consapevolezza, con più forza? «Sicuramente tutto non potrà tornare come prima. Ciascuno ha vissuto questo periodo con le proprie emozioni e non si può dimenticare quanto abbiamo passato – aggiunge Stefania Bruzzese -. Chi ha potuto riflettere si sarà portato a casa un patrimonio, forse è stato un lusso, ma nella solitudine c’è la necessità di parlare, di essere ascoltati. Noi non abbiamo dato risposte, ma abbiamo offerto la possibilità di ragionare insieme nel tempo che stiamo vivendo».

     Mauro Pertile

Foto di apertura Foto di Gerd Altmann da Pixabay