Il mondo sta marciando a più velocità contro una pandemia che non riconosce i suoi confini. Da una parte i paesi che, con il blocchetto degli assegni in mano, si sono accaparrati le dosi per vaccinare più volte i loro cittadini, dall’altra quelli che arrancano.

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Uno dei motivi della rapidità con la quale le case farmaceutiche hanno messo in campo tutte le loro forze per produrre vaccini sta nell’enorme massa di denaro pubblico messa sul piatto, soprattutto in Europa e negli Stati Uniti. L’Unione Europea ha sborsato 2,7 miliardi di euro per sostenere la ricerca e la sperimentazione clinica e prenotare al buio 2,3 miliardi di dosi prima che fosse assicurata l’efficacia dei farmaci, l’americana Biomedical advanced research and development agency ha stanziato 15 miliardi di dollari (comprendendo anche qui milioni di dosi di vaccino).

Il business evidentemente è enorme, e continuerà nei prossimi anni con il problema dei richiami e delle varianti. La cuccagna per le case produttrici si stima che continuerà almeno fino al 2025 per una somma pari almeno a 75 miliardi di dollari. Questo tesoro in arrivo ha già fatto lievitare i valori di borsa delle aziende farmaceutiche quotate: le azioni di quelle arrivate per prime al vaccino hanno già guadagnato oltre 100 miliardi di dollari. Questo da solo dovrebbe bastare a loro ed ai loro azionisti.

Ma i monopoli uccidono. Di fronte alla perdita di milioni di vite non è accettabile che le case farmaceutiche possano vendere prima a chi può pagare di più per massimizzare i loro profitti.

Il problema più grave è nei paesi del cosiddetto Terzo mondo, in particolare in Africa, dove gran parte dei governi non riesce ad ottenere in tempi ragionevoli almeno una parte dei vaccini necessari, con il paradosso che il continente più povero del mondo deve pagare i vaccini di più di quanto li pagano i paesi ricchi. Solo il 2% dei vaccini a livello mondiale è stato somministrato in Africa.

È stato creato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità il consorzio Covax, un programma che però appare già in ritardo e decisamente sottofinanziato. Non possiamo lasciare l’Africa in balia del virus, perchè quando il Covid trova un terreno fertile per proliferare si può modificare in nuove varianti, potenzialmente capaci di aggirare le difese dei vaccini e diffondersi di nuovo in tutto il mondo.

Papa Francesco ci ricorda tutte le settimane che la pandemia è l’indice rivelatore della principale malattia sociale del nostro tempo, quello della disuguaglianza: «Nessuno si salva da solo. Bisogna combattere il virus dell’individualismo radicale e vincere la globalizzazione dell’indifferenza».

Il vaccino deve essere considerato un bene pubblico che, per definizione, non può essere né privato né privatizzabile. Si tratta di farmaci salvavita la cui ricerca e sviluppo, come detto, è stata in gran parte finanziata da denaro pubblico. Negli accordi sui diritti della proprietà intellettuale è prevista la possibilità di derogare alla protezione dei brevetti per periodi temporali definiti e per circostanze eccezionali. I brevetti possono essere sospesi, anche solo moderando le royalties che ottengono le case farmaceutiche. Ne guadagnerebbero comunque in reputazione. C’è stato in passato l’esempio del prof. Salk, che scoprì il vaccino della polio e lo rese subito disponibile, e quello del vaccino dell’HIV, per il quale, seppur con molto ritardo, si arrivò ad un accordo economico per diffondere i farmaci anche ai paesi più poveri.

I vaccini, inoltre, richiedono know how: rinunciare ai brevetti non basta. Nell’immediato è necessario garantire l’accesso ai vaccini già pronti avviando, nel contempo, finanziamenti garantiti che portino ad una capacità produttiva e una linea di fornitura sicura.

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Per generare la distribuzione dei vaccini il Fondo Monetario Internazionale dovrebbe mettere a disposizione, come ha suggerito anche Jeffrey Sachs, economista della Columbia University, una porzione dei propri “diritti speciali di prelievo” (DSP). Senza approfondirne nel dettaglio il funzionamento possiamo dire che si tratta di strumenti già inseriti nel bilancio del FMI destinati ad emergenze internazionali. I DSP sono un paniere di monete che potrebbe svolgere da subito il ruolo di moneta mondiale. Dal 2016 questo paniere è stato allargato al renmimbi cinese, che pesa per il 10%, contro il 30% dell’euro, il 40% del dollaro e le altre quote divise fra sterlina e yen. Per utilizzare questo strumento bisogna riformare la governance del FMI, ancora dominato dagli Usa e dall’Europa.

L’emergenza Covid può diventare il catalizzatore per un cambiamento sistemico nella gestione delle crisi globali che, purtroppo, nei prossimi anni certamente si riproporranno a causa del surriscaldamento climatico. Il riscaldamento climatico è una pandemia al rallentatore, che prima o poi esploderà.

In Europa manca un’istituzione democratica realmente responsabile politicamente, un governo ed un bilancio autonomi dagli stati ed adeguati a far fronte ai problemi.

La dolorosa esperienza della pandemia deve essere di insegnamento a coloro che parteciperanno alla “Conferenza del futuro dell’Europa che sta per partire: solo un’Europa realmente sovrana, democratica e federale sarebbe stata in grado di fare meglio.